sfide: generi letterari, mistero
Autore: Edgar Allan Poe
Anno di pubblicazione: 2001
Editore: Garzanti
Pagine: 500
Iniziato il: 03 dicembre 2011
Terminato il: 27 dicembre 2011
Valutazione:★★★
Trama
Sia che Poe s'avventuri fin sulla soglia del cuore umano e se ne tragga indietro, impietrito dal terrore dei fantasmi che l'assediano, sia che procrei tutta un'umanità nuova e sfigurata, abitatrice d'un mondo che esiste solo negli allucinati scenari che gli compone e scompone la sua immaginazione, è sempre il medesimo strumento a essere suonato, a ricevere dalle sue sensibili mani l'impulso a quelle vibrazioni che serbano tanta struggente eco.(Dall'introduzione di Gabriele Baldini)
Commento
Leggere tutti i racconti è stato un errore: avrei dovuto concentrarmi solo sui più famosi e lasciar perdere gli altri, perché mentre alcuni sono intensi e poetici, altri sono davvero pesanti e mi hanno fatto perdere il gusto di proseguire. In questa raccolta, la maggior parte dei racconti definiti "dell'orrore" sono in realtà gotici, in quanto i personaggi sono molto spesso tormentati o vivono con tormento il loro amore e la loro passione per una donna. "Il crollo di casa Usher", "Il pozzo e il pendolo", "Manoscritto trovato in una bottiglia" e "Il cuore rivelatore" sono tra quelli che più mi sono piaciuti, mentre altri, soprattutto tra quelli che rientravano nella categoria dei fantastici e grotteschi li ho trovati terribilmente noiosi. Per quanto riguarda i racconti del mistero, invece, pur essendo rimasta leggermente delusa da "I delitti della Rue Morgue", mi sono piaciuti molto e mi sono innamorata soprattutto de "Lo scarabeo d'oro". In generale, comunque, sono rimasta un po' delusa da questo autore.
Il rogo
sfide: del nord e del freddo, solo donna
Titolo originale: Bålet
Autore: Bergljot Hobæk Haff
Anno di pubblicazione: 1999
Editore: Iperborea
Pagine: 150
Iniziato il: 30 novembre 2011
Terminato il: 01 dicembre 2011
Valutazione:★★★★
Trama
Un villaggio sperduto in qualche remota valle del Nord, una storia che potrebbe cominciare con un "c'era una volta". Una maestra, un calzolaio, un forestiero, un vecchio veggente, un ragazzo curioso, personaggi senza nome che si muovono nei luoghi quotidiani delle fiabe: la casa al margine del bosco, la strada maestra, la bottega. L'atmosfera è quella delle leggende un po' cupe e misteriose ascoltate in lontane sere d'inverno intorno al fuoco: le ombre incombenti delle montagne, la palude infida, la nebbia densa che fa smarrire la ragione, pozioni di erbe che guariscono, traffici oscuri nella notte, un presagio di calamità che incombe come un maleficio su un angolo di terra dimenticato da Dio e dagli uomini. (dal retro di copertina)
Commento
Ho aspettato tanto prima di scrivere il post relativo a questo romanzo, e nonostante ciò, anche adesso che mi sono decisa, mi rendo conto di quanto sia difficile parlarne; Il rogo, infatti non è un romanzo convenzionale, ma una metafora del bene e del male che parla della facilità con cui la malvagità sia in grado di farsi largo nel cuore degli uomini sfruttando quella "propensione naturale" al male che ciascuno di noi nasconde dentro di sé.
La vicenda si svolge in un minuscolo paesino nascosto tra le montagne, retto da una sorta di equilibrio naturale tramite il quale non sono gli uomini a punirsi tra loro per i propri peccati, ma le circostanze da sole provvedono a bilanciare giustizia ed ingiustizia. Quella che ci viene presentata è quindi una società che apparentemente non è ancora stata contaminata dalla malizia e dal dubbio (si scoprirà poi che in passato già un evento aveva fatto entrare qualcuno di questi "demoni") e che si potrebbe quindi definire quasi pura. I personaggi sono molto diversi, e differente è anche il modo in cui vengono descritti e presentati: la maestra e il calzolaio non hanno un nome, vengono semplicemente chiamati "maestra" e "calzolaio" e nemmeno vengono descritti fisicamente in modo dettagliato: della prima viene detto semplicemente che ha l'aspetto che dovrebbe avere una maestra, che non si può dire se sia bella o brutta, simpatica o antipatica; del secondo ci viene invece descritta soprattutto la costituzione robusta e il suo avere le gambe corte. Helga, la proprietaria della locanda, viene invece descritta in modo più approfondito (la sua storia, il suo modo di camminare, il rapporto con il figlio idrocefalico), idem come il signor Allan, del quale viene descritto l'aspetto fisico, il modo di fare e viene fatta spesso allusione ai suoi scopi. Anche ciò che essi rappresentano è molto diverso. Per quanto riguarda il calzolaio e il signor Allen è abbastanza semplice: i due sono rispettivamente il bene e il male o, per meglio dire, coloro che cercano di tirare fuori il bene o il male dagli abitanti; il calzolaio in modo lento e paziente, il signor Allen (che viene spesso paragonato ad un serpente, e nello specifico al serpente tentatore della Genesi) invece li irretisce, semina il dubbio, la malizia e l'ostilità nei confronti del calzolaio, sfruttando proprio quella predisposizione umana alla malvagità: solo su un terreno fertile, infatti, i semi attecchiscono.
La maestra è il personaggio più enigmatico e quella che mi ha creato più problemi di interpretazione: in alcuni aspetti è vicina al calzolaio (nel suo modo di "fregare" affettuosamente gli ingenui compaesani per il loro bene e nel rapporto intimo che si crea tra i due), ma all'arrivo del signor Allan ne diventa succube e non solo accetta di essere sfruttata da lui, ma collabora con lui contribuendo alla sua opera di "distruzione" del calzolaio, pur mantenendo sempre un atteggiamento equivoco e insicuro. Credo che probabilmente la maestra rappresenti l'essere umano, perennemente in bilico tra il bene e il male ed in costante lotta con sé stesso. La conclusione, poi, è solo il culmine di un percorso, perché durante tutta la narrazione vengono disseminate riflessioni che lasciano intuire perfettamente e fin dall'inizio che le cose andranno in un determinato modo. Per lo meno, anche qui prevarrà quell'equilibrio naturale e perfetto di parlavo all'inizio, e che regola gli avvenimenti in quel remoto villaggio. Un pregio, infine, che ho riscontrato in questo romanzo e che non capita spesso ormai di incontrare, è che non ci sono parole inutili: ogni espressione, ogni frase è necessaria ai fini del racconto. Per questo il romanzo è così breve, ma talmente intenso che è difficile da dimenticare.
Titolo originale: Bålet
Autore: Bergljot Hobæk Haff
Anno di pubblicazione: 1999
Editore: Iperborea
Pagine: 150
Iniziato il: 30 novembre 2011
Terminato il: 01 dicembre 2011
Valutazione:★★★★
La maestra del villaggio era d'aspetto comune quanto è giusto che sia la maestra di un così piccolo angolo del mondo. Se qualche estraneo avesse voluto informarsi su di lei domandando, per esempio, se fosse più o meno carina, chiunque si sarebbe trovato in grande imbarazzo e avrebbe risposto che non era quella la qualità più importante in una maestra.
(incipit)
Trama
Un villaggio sperduto in qualche remota valle del Nord, una storia che potrebbe cominciare con un "c'era una volta". Una maestra, un calzolaio, un forestiero, un vecchio veggente, un ragazzo curioso, personaggi senza nome che si muovono nei luoghi quotidiani delle fiabe: la casa al margine del bosco, la strada maestra, la bottega. L'atmosfera è quella delle leggende un po' cupe e misteriose ascoltate in lontane sere d'inverno intorno al fuoco: le ombre incombenti delle montagne, la palude infida, la nebbia densa che fa smarrire la ragione, pozioni di erbe che guariscono, traffici oscuri nella notte, un presagio di calamità che incombe come un maleficio su un angolo di terra dimenticato da Dio e dagli uomini. (dal retro di copertina)
Commento
Ho aspettato tanto prima di scrivere il post relativo a questo romanzo, e nonostante ciò, anche adesso che mi sono decisa, mi rendo conto di quanto sia difficile parlarne; Il rogo, infatti non è un romanzo convenzionale, ma una metafora del bene e del male che parla della facilità con cui la malvagità sia in grado di farsi largo nel cuore degli uomini sfruttando quella "propensione naturale" al male che ciascuno di noi nasconde dentro di sé.
La vicenda si svolge in un minuscolo paesino nascosto tra le montagne, retto da una sorta di equilibrio naturale tramite il quale non sono gli uomini a punirsi tra loro per i propri peccati, ma le circostanze da sole provvedono a bilanciare giustizia ed ingiustizia. Quella che ci viene presentata è quindi una società che apparentemente non è ancora stata contaminata dalla malizia e dal dubbio (si scoprirà poi che in passato già un evento aveva fatto entrare qualcuno di questi "demoni") e che si potrebbe quindi definire quasi pura. I personaggi sono molto diversi, e differente è anche il modo in cui vengono descritti e presentati: la maestra e il calzolaio non hanno un nome, vengono semplicemente chiamati "maestra" e "calzolaio" e nemmeno vengono descritti fisicamente in modo dettagliato: della prima viene detto semplicemente che ha l'aspetto che dovrebbe avere una maestra, che non si può dire se sia bella o brutta, simpatica o antipatica; del secondo ci viene invece descritta soprattutto la costituzione robusta e il suo avere le gambe corte. Helga, la proprietaria della locanda, viene invece descritta in modo più approfondito (la sua storia, il suo modo di camminare, il rapporto con il figlio idrocefalico), idem come il signor Allan, del quale viene descritto l'aspetto fisico, il modo di fare e viene fatta spesso allusione ai suoi scopi. Anche ciò che essi rappresentano è molto diverso. Per quanto riguarda il calzolaio e il signor Allen è abbastanza semplice: i due sono rispettivamente il bene e il male o, per meglio dire, coloro che cercano di tirare fuori il bene o il male dagli abitanti; il calzolaio in modo lento e paziente, il signor Allen (che viene spesso paragonato ad un serpente, e nello specifico al serpente tentatore della Genesi) invece li irretisce, semina il dubbio, la malizia e l'ostilità nei confronti del calzolaio, sfruttando proprio quella predisposizione umana alla malvagità: solo su un terreno fertile, infatti, i semi attecchiscono.
La maestra è il personaggio più enigmatico e quella che mi ha creato più problemi di interpretazione: in alcuni aspetti è vicina al calzolaio (nel suo modo di "fregare" affettuosamente gli ingenui compaesani per il loro bene e nel rapporto intimo che si crea tra i due), ma all'arrivo del signor Allan ne diventa succube e non solo accetta di essere sfruttata da lui, ma collabora con lui contribuendo alla sua opera di "distruzione" del calzolaio, pur mantenendo sempre un atteggiamento equivoco e insicuro. Credo che probabilmente la maestra rappresenti l'essere umano, perennemente in bilico tra il bene e il male ed in costante lotta con sé stesso. La conclusione, poi, è solo il culmine di un percorso, perché durante tutta la narrazione vengono disseminate riflessioni che lasciano intuire perfettamente e fin dall'inizio che le cose andranno in un determinato modo. Per lo meno, anche qui prevarrà quell'equilibrio naturale e perfetto di parlavo all'inizio, e che regola gli avvenimenti in quel remoto villaggio. Un pregio, infine, che ho riscontrato in questo romanzo e che non capita spesso ormai di incontrare, è che non ci sono parole inutili: ogni espressione, ogni frase è necessaria ai fini del racconto. Per questo il romanzo è così breve, ma talmente intenso che è difficile da dimenticare.
[...] la malvagità non fu portata sulla terra da un serpente; il serpente si insinuò nel giardino dell'Eden e indusse l'uomo a tirar fuori i suoi istinti innati.
In seguito nessuno seppe spiegare esattamente che cos'era accaduto. L'uomo non aveva invitato nessuno a ballare, eppure una ragazza si era staccata improvvisamente dal cerchio muovendoglisi incontro; con la passività di un pianeta, era scivolata sotto l'influsso della sua forza attrattiva e aveva cominciato a girare in tondo nella sua orbita fino a cadere nell'oblio. Avanti il prossimo.
In chi un giorno ha amato invano, l'amore non muore mai. Può rattrappirsi e deformarsi, allo stesso modo in cui due gambe possono rattrappirsi e perdere la loro lunghezza naturale. Può cambiare aspetto e aumentare o diminuire d'intensità. Ma chi ha amato al di sotto della propria dignità, mortificherà sempre i propri moti di tenerezza. E chi un giorno si è bruciato valutando un gioiello falso, guarderà eternamente con diffidenza tutto ciò che è genuino e buono.
Opere scelte
sfide: mistero
Autore: Edgar Allan Poe
Anno di pubblicazione: 2001
Editore: Mondadori
Pagine: 1408 (lette 290 ca.)
Iniziato il: 22 novembre 2011
Terminato il: 05 dicembre 2011
Trama
Un'ampia selezione di testi raccolti e annotati da Giorgio Manganelli. I racconti di enigmi, i racconti grotteschi e quelli del terrore sono qui affiancati al romanzo di viaggio Gordon Pym, nella classica versione di Elio Vittorini, e a una significativa scelta delle poesie. (dal retro di copertina)
RACCONTI UMORISTICI
- Come si scrive un articolo «da Blackwood»
GORDON PYM
Le avventure di Arthur Gordon Pym, chiamato nel mio volume solo Gordon Pym, è un romanzo di viaggio e d'avventura che racconta le mille peripezie affrontate da Gordon Pym, imbarcatosi di nascosto su un brigantino per una bravata che si è rivelata la più tremenda e incredibile esperienza della sua vita. La storia avrebbe potuto essere davvero appassionante se non fosse che purtroppo Poe alterna le scene "d'azione" con delle spaventose divagazioni sulla storia, la natura, la navigazione, che hanno l'unico effetto di spezzare la narrazione e di smorzare decisamente la tensione e l'attenzione del lettore. Non riesco proprio a capire il motivo di questa scelta, dato che se proprio desiderava inserire tutte queste informazioni perfettamente inutili ai fini della storia, ma che risultano invece interessanti per creare una contestualizzazione al romanzo, poteva benissimo aggiungerle in appendice, senza tediare il lettore con mille dettagli extra, quando l'unico desiderio è scoprire cosa accade a quel povero disgraziato di Gordon. Se si tralasciano queste parti (che secondo me equivalgono a una trentina di pagine, forse anche qualcosa in più) il romanzo diventa davvero appassionante e narrato con tale realismo che ci si mette davvero nei panni del protagonista e con lui si soffrono la fame, la sete e si affrontano i mille pericoli da lui incontrati. La conclusione è volutamente incompleta, e lascia un senso di inquietudine davvero molto efficace.
POESIE
Bellissime. Sono quelle che ho letto con più coinvolgimento e potrei azzardarmi a dire che mi sono piaciute più di tutto il resto dell'opera di Poe: i toni sono decisamente gotici, con queste ambientazioni prettamente notturne e le visioni di tombe, sudari, cimiteri, morte. Durante la lettura, dosata e spezzettata per non esagerare (ne ho lette un paio ogni sera), mi sono sentita avvolta dall'atmosfera cupa e misteriosa, ma anche romantica, che pervade i versi. Ovviamente ho evitato la traduzione, a parte per comprendere alcuni termini, che non rende mai giustizia all'originale, ma crea qualcosa di completamente differente (le rime, per esempio, si perdono del tutto). Non sono mai stata un'amante della poesia, forse perchè non mi sono mai lasciata trascinare non tanto dal significato, ma dalla musicalità delle parole e dalle immagini evocate; questa volta l'ho fatto, ed è stato meraviglioso.
Autore: Edgar Allan Poe
Anno di pubblicazione: 2001
Editore: Mondadori
Pagine: 1408 (lette 290 ca.)
Iniziato il: 22 novembre 2011
Terminato il: 05 dicembre 2011
Valutazione:★★★ (racconti e Gordon Pym), ★★★★ (poesie)
Once upon a midnight dreary, while I pondered weak and weary,
Over many a quaint and curious volume of forgotten lore,
While I nodded, nearly napping, suddenly there came a tapping,
As of some one gently rapping, rapping at my chamber door.
`'Tis some visitor,' I muttered, `tapping at my chamber door -
Only this, and nothing more.'
(incipit della poesia "The Raven")
Trama
Un'ampia selezione di testi raccolti e annotati da Giorgio Manganelli. I racconti di enigmi, i racconti grotteschi e quelli del terrore sono qui affiancati al romanzo di viaggio Gordon Pym, nella classica versione di Elio Vittorini, e a una significativa scelta delle poesie. (dal retro di copertina)
RACCONTI UMORISTICI
- Come si scrive un articolo «da Blackwood»
Racconto decisamente originale e molto buffo. E' una caricatura delle riviste letterarie ed è la storia di Psyche Zenobia, un'aspirante scrittrice di articoli e racconti che prende lezioni di scrittura dal direttore di una rivista considerata la migliore di tutte, il quale le propina tutta una serie di indicazioni assurde che però, e questo è l'aspetto comico, vengono raccontate e ascoltate come se fossero assolutamente serie. Il racconto è collegato al successivo, "La falce del tempo", ovvero il testo scritto da Psyche Zenobia dopo i consigli di Mr. Blackwood.
- La falce del tempo Era prevedibile, ma mi ha fatto morire dal ridere ritrovare nel racconto tutti i consigli letterari dati da Blackwood a Psyche Zenobia nel racconto precedente, naturalmente stravolti. Non ho potuto fare a meno di tornare indietro e rileggermi il consiglio e la sua assurda applicazione (ad esempio, la citazione "Il fiume Alfeo passò sotto al mare e ne uscì senza che la purezza delle sue acque fosse stata contaminata" diventa "L'immenso fiume Alfredo passò senza bagnarsi sotto il mare". Come si fa a non ridere?). Troppo bello. Il racconto in realtà è decisamente grottesco, dato che la morte di Psyche viene rappresentata in un modo a metà tra l'orrido e il buffo. Tra i tre racconti comici, questo senza dubbio è il migliore.
- Perché il piccolo francese porta la mano al collo Racconto brevissimo ma divertentissimo. E' un vero e proprio sketch basato sull'equivoco.
- L'Angelo del Bizzarro Anche questo racconto è davvero assurdo, ma anche simpatico; soprattutto mi ha fatto ridere il modo di parlare dell'Angelo, un italiano con la pronuncia tedesca.
GORDON PYM
Le avventure di Arthur Gordon Pym, chiamato nel mio volume solo Gordon Pym, è un romanzo di viaggio e d'avventura che racconta le mille peripezie affrontate da Gordon Pym, imbarcatosi di nascosto su un brigantino per una bravata che si è rivelata la più tremenda e incredibile esperienza della sua vita. La storia avrebbe potuto essere davvero appassionante se non fosse che purtroppo Poe alterna le scene "d'azione" con delle spaventose divagazioni sulla storia, la natura, la navigazione, che hanno l'unico effetto di spezzare la narrazione e di smorzare decisamente la tensione e l'attenzione del lettore. Non riesco proprio a capire il motivo di questa scelta, dato che se proprio desiderava inserire tutte queste informazioni perfettamente inutili ai fini della storia, ma che risultano invece interessanti per creare una contestualizzazione al romanzo, poteva benissimo aggiungerle in appendice, senza tediare il lettore con mille dettagli extra, quando l'unico desiderio è scoprire cosa accade a quel povero disgraziato di Gordon. Se si tralasciano queste parti (che secondo me equivalgono a una trentina di pagine, forse anche qualcosa in più) il romanzo diventa davvero appassionante e narrato con tale realismo che ci si mette davvero nei panni del protagonista e con lui si soffrono la fame, la sete e si affrontano i mille pericoli da lui incontrati. La conclusione è volutamente incompleta, e lascia un senso di inquietudine davvero molto efficace.
POESIE
Bellissime. Sono quelle che ho letto con più coinvolgimento e potrei azzardarmi a dire che mi sono piaciute più di tutto il resto dell'opera di Poe: i toni sono decisamente gotici, con queste ambientazioni prettamente notturne e le visioni di tombe, sudari, cimiteri, morte. Durante la lettura, dosata e spezzettata per non esagerare (ne ho lette un paio ogni sera), mi sono sentita avvolta dall'atmosfera cupa e misteriosa, ma anche romantica, che pervade i versi. Ovviamente ho evitato la traduzione, a parte per comprendere alcuni termini, che non rende mai giustizia all'originale, ma crea qualcosa di completamente differente (le rime, per esempio, si perdono del tutto). Non sono mai stata un'amante della poesia, forse perchè non mi sono mai lasciata trascinare non tanto dal significato, ma dalla musicalità delle parole e dalle immagini evocate; questa volta l'ho fatto, ed è stato meraviglioso.
L'anno della lepre
sfide: del nord e del freddo
Titolo originale: Jäniksen vuosi
Autore: Arto Paasilinna
Anno di pubblicazione: 1994
Editore: Iperborea
Pagine: 199
Iniziato il: 22 novembre 2011
Terminato il: 24 novembre 2011
Valutazione:★★★★
Trama
Giornalista quarantenne a Helsinki, Vatanen ha raggiunto quel momento dell’esistenza in cui di colpo ci si chiede quel “ma perché” che si è cercato sempre di reprimere, nascondendo a se stessi e agli altri che quel grigiore a cui si è arrivati a furia di rinunciare ai sogni, di accettare compromessi, di rassegnarsi al logoramento delle amicizie, del lavoro, degli amori, quel qualcosa in cui siamo rimasti impigliati e in cui non ci riconosciamo, è in realtà la nostra vita. Una sera, tornando in macchina da un servizio fuori città con un amico fotografo, investe una lepre, che fugge ferita nella campagna. Vatanen scende dall’automobile, la trova, la cura e, sordo ai richiami dell’amico, sparisce con lei nei boschi intorno. Da quel momento inizia il racconto delle svariate, stravaganti, spesso esilaranti peripezie di Vatanen, trasformato in un vagabondo che parte all’avventura, on the road, un wanderer senza fretta e senza meta attraverso la società e la natura, in mezzo alle selvagge foreste del Nord e alle imprevedibili reti della burocrazia, sempre accompagnato dalla sua lepre come irrinunciabile talismano. E la sua divertente e paradossale fuga dal passato diventa un viaggio iniziatico verso la libertà, la scoperta che la vita può essere reinventata ogni momento e che, se la felicità è per natura anarchica e sovversiva, si può anche provare ad avere il coraggio di inseguirla. Un libro-culto nei paesi nordici che ha creato un genere nuovo: il romanzo umoristico-ecologico. (dal retro di copertina)
Commento
Chi non ha mai sognato, almeno una volta nella vita, di avere il coraggio di mollare tutto e sparire? Lasciare il lavoro, la routine noiosa e tutte quelle consuetudini che ci stufano e ci stressano per vivere davvero "alla giornata", senza più pensare al futuro. Vatanen riesce a fare tutto questo e, accompagnato solo dalla sua fedele lepre, inizia un vagabondaggio per tutta la Finlandia alla perenne ricerca della tranquillità. La sopravvivenza non rappresenta un problema: per Vatanen non è difficile trovare impieghi temporanei come taglialegna, vaccaro o manovale che gli permettano di riuscire a mantenersi e soprattutto a conservare la propria libertà. Il problema fondamentale è che in ogni luogo in cui si reca non riesce mai davvero ad evitare che l'invadenza della società rovini tutto, ed è quindi sempre costretto a ripartire. Che sia per colpa di un incendio, dell'alcool, di un morto in un fienile o di un matto che cerca di rubargli la lepre, la conclusione è sempre la stessa: Vatanen prende la sua lepre e se ne va alla ricerca di un nuovo luogo dove vivere la propria libertà.
Il racconto è reso straordinario dalla meravigliosa ironia di Paasilinna, che non esita a gettare una luce divertente, ma contemporaneamente riflessiva, su tutte le situazioni in cui si trova il protagonista, e dalla spettacolare natura finlandese, che non fa solo da cornice al romanzo ma ne è sempre al centro.
A mano a mano che leggo romanzi di Paasilinna mi convinco sempre di più che, pur avendo una parvenza di "autore facile", in quanto il suo stile è scorrevole e le sue storie sembrano leggere, non sia in realtà un autore per tutti; credo che sia uno di quegli scrittori con i quali o si condivide un certo modo di vedere il mondo, o non si andrà mai del tutto d'accordo e che lasceranno sempre a fine lettura un senso di insoddisfazione, un "perchè?" al quale non si riesce a dare una risposta completamente soddisfacente. Per questo non mi sentirei mai di consigliarlo: ce lo si deve trovare tra le mani e sono alla fine si può capire se lo si apprezza oppure no. Io, senza dubbio, lo adoro.
Titolo originale: Jäniksen vuosi
Autore: Arto Paasilinna
Anno di pubblicazione: 1994
Editore: Iperborea
Pagine: 199
Iniziato il: 22 novembre 2011
Terminato il: 24 novembre 2011
Valutazione:★★★★
Sull'automobile viaggiavano due uomini depressi. Il sole al tramonto, battendo sul parabrezza polveroso, infastidiva i loro occhi. Era l'estate di San Giovanni. Lungo la strada sterrata il paesaggio finlandese scorreva sotto il loro sguardo stanco, ma nessuno dei due prestava la minima attenzione alla bellezza della sera.
(incipit)
Trama
Giornalista quarantenne a Helsinki, Vatanen ha raggiunto quel momento dell’esistenza in cui di colpo ci si chiede quel “ma perché” che si è cercato sempre di reprimere, nascondendo a se stessi e agli altri che quel grigiore a cui si è arrivati a furia di rinunciare ai sogni, di accettare compromessi, di rassegnarsi al logoramento delle amicizie, del lavoro, degli amori, quel qualcosa in cui siamo rimasti impigliati e in cui non ci riconosciamo, è in realtà la nostra vita. Una sera, tornando in macchina da un servizio fuori città con un amico fotografo, investe una lepre, che fugge ferita nella campagna. Vatanen scende dall’automobile, la trova, la cura e, sordo ai richiami dell’amico, sparisce con lei nei boschi intorno. Da quel momento inizia il racconto delle svariate, stravaganti, spesso esilaranti peripezie di Vatanen, trasformato in un vagabondo che parte all’avventura, on the road, un wanderer senza fretta e senza meta attraverso la società e la natura, in mezzo alle selvagge foreste del Nord e alle imprevedibili reti della burocrazia, sempre accompagnato dalla sua lepre come irrinunciabile talismano. E la sua divertente e paradossale fuga dal passato diventa un viaggio iniziatico verso la libertà, la scoperta che la vita può essere reinventata ogni momento e che, se la felicità è per natura anarchica e sovversiva, si può anche provare ad avere il coraggio di inseguirla. Un libro-culto nei paesi nordici che ha creato un genere nuovo: il romanzo umoristico-ecologico. (dal retro di copertina)
Commento
Chi non ha mai sognato, almeno una volta nella vita, di avere il coraggio di mollare tutto e sparire? Lasciare il lavoro, la routine noiosa e tutte quelle consuetudini che ci stufano e ci stressano per vivere davvero "alla giornata", senza più pensare al futuro. Vatanen riesce a fare tutto questo e, accompagnato solo dalla sua fedele lepre, inizia un vagabondaggio per tutta la Finlandia alla perenne ricerca della tranquillità. La sopravvivenza non rappresenta un problema: per Vatanen non è difficile trovare impieghi temporanei come taglialegna, vaccaro o manovale che gli permettano di riuscire a mantenersi e soprattutto a conservare la propria libertà. Il problema fondamentale è che in ogni luogo in cui si reca non riesce mai davvero ad evitare che l'invadenza della società rovini tutto, ed è quindi sempre costretto a ripartire. Che sia per colpa di un incendio, dell'alcool, di un morto in un fienile o di un matto che cerca di rubargli la lepre, la conclusione è sempre la stessa: Vatanen prende la sua lepre e se ne va alla ricerca di un nuovo luogo dove vivere la propria libertà.
Il racconto è reso straordinario dalla meravigliosa ironia di Paasilinna, che non esita a gettare una luce divertente, ma contemporaneamente riflessiva, su tutte le situazioni in cui si trova il protagonista, e dalla spettacolare natura finlandese, che non fa solo da cornice al romanzo ma ne è sempre al centro.
A mano a mano che leggo romanzi di Paasilinna mi convinco sempre di più che, pur avendo una parvenza di "autore facile", in quanto il suo stile è scorrevole e le sue storie sembrano leggere, non sia in realtà un autore per tutti; credo che sia uno di quegli scrittori con i quali o si condivide un certo modo di vedere il mondo, o non si andrà mai del tutto d'accordo e che lasceranno sempre a fine lettura un senso di insoddisfazione, un "perchè?" al quale non si riesce a dare una risposta completamente soddisfacente. Per questo non mi sentirei mai di consigliarlo: ce lo si deve trovare tra le mani e sono alla fine si può capire se lo si apprezza oppure no. Io, senza dubbio, lo adoro.
Il giornalista, lepre in braccio, sedeva sul ciglio del fosso. Sembrava una vecchia donna assorta nei suoi pensieri, con il lavoro a maglia abbandonato in grembo. Il rumore dell'auto era svanito. Il sole tramontava.
Al mattino, il levar del sole rivelò un convoglio interamente coperto di nero fango. Una mucca infangata, un uomo infangato, un vitello infangato e una lepre infangata si erano svegliati: la mucca scodellava sterco, il vitello poppava, Vatanen di fumò una sigaretta.
Il castello dei Pirenei
sfide: bersaglio, nord e del freddo, incrociata
Titolo originale: Slottet i Pyreneene
Autore: Jostein Gaarder
Anno di pubblicazione: 2010
Editore: TEA
Pagine: 242
Iniziato il: 17 novembre 2011
Terminato il: 21 novembre 2011
Valutazione:★★★★
Trama
Il caso, una coincidenza, il destino, la telepatia: difficile spiegare l'incontro fra un uomo e una donna che si rivedono, dopo trent'anni, nello stesso albergo affacciato sul fiordo dove si erano detti addio. Sempre che dare una spiegazione abbia un senso. Solrun e Steinn sono entrambi cinquantenni. Nonostante il passare degli anni e il fatto che oggi siano entrambi sposati e con figli, non hanno mai smesso di pensare l'uno all'altra. Dopo la sorpresa dell'incontro, danno vita a un fitto scambio di e-mail nel quale si raccontano, ripercorrendo l'episodio, inspiegabilmente velato di mistero, che aveva messo la parola fine al loro amore. Per ritrovarsi, come spesso accade, a scrivere due storie diverse della stessa passione condivisa. Chissà però se le due versioni sono davvero così differenti. Nel dialogo a distanza prendono corpo due visioni della vita inconciliabili: lui è un professore di Fisica, ateo e materialista, lei è un'umanista convinta che a governare i nostri destini siano forze superiori. Forse solo il finale del romanzo saprà dare finalmente un senso agli eventi. (dal retro di copertina)
Commento:
Fino alla fine del primo capitolo, devo dire la verità, mi sembrava un libro un po' insulso, fine a sè stesso. Proseguendo però nella lettura sono rimasta come sempre invischiata nei ragionamenti di Gaarder e dal fascino di argomenti sui quali mi pongo domande ogni giorno, da quando sono diventata abbastanza grande per avere un'autocoscienza: Chi sono? Perchè sono qui? Da dove vengono questo mondo e questa realtà che mi circonda? E oltre? Oltre al nostro pianeta e alla nostra galassia c'è vita o siamo soli nell'universo? Cosa accade dopo la morte? Esiste un dio creatore del mondo? Oppure tutto è frutto del caso?
Ovviamente non risponderò qui a queste domande, prima di tutto perchè le risposte non le conosco nemmeno io, secondo perchè sono pensieri talmente privati e profondi che sono abituata a parlare sono con me stessa o con poche persone. In ogni caso per me Gaarder è irresistibile, uno stimolo continuo. La forma epistolare è effettivamente perfetta per fare di questo libro un romanzo e non un saggio e contemporaneamente per presentare due punti di vista contrastanti sulla vita e il suo significato.
Titolo originale: Slottet i Pyreneene
Autore: Jostein Gaarder
Anno di pubblicazione: 2010
Editore: TEA
Pagine: 242
Iniziato il: 17 novembre 2011
Terminato il: 21 novembre 2011
Valutazione:★★★★
Era il 18 gennaio 1990. Un vento fresco, a tratti forte, soffiava da sud, portando con sè nubi cariche di pioggia.
Il viale della stazione di Limhamn era deserto, a parte qualche isolata automobile i cui fari si riflettevano nelle vetrine o sull'asfalto bagnato.
(incipit)
Trama
Il caso, una coincidenza, il destino, la telepatia: difficile spiegare l'incontro fra un uomo e una donna che si rivedono, dopo trent'anni, nello stesso albergo affacciato sul fiordo dove si erano detti addio. Sempre che dare una spiegazione abbia un senso. Solrun e Steinn sono entrambi cinquantenni. Nonostante il passare degli anni e il fatto che oggi siano entrambi sposati e con figli, non hanno mai smesso di pensare l'uno all'altra. Dopo la sorpresa dell'incontro, danno vita a un fitto scambio di e-mail nel quale si raccontano, ripercorrendo l'episodio, inspiegabilmente velato di mistero, che aveva messo la parola fine al loro amore. Per ritrovarsi, come spesso accade, a scrivere due storie diverse della stessa passione condivisa. Chissà però se le due versioni sono davvero così differenti. Nel dialogo a distanza prendono corpo due visioni della vita inconciliabili: lui è un professore di Fisica, ateo e materialista, lei è un'umanista convinta che a governare i nostri destini siano forze superiori. Forse solo il finale del romanzo saprà dare finalmente un senso agli eventi. (dal retro di copertina)
Commento:
Fino alla fine del primo capitolo, devo dire la verità, mi sembrava un libro un po' insulso, fine a sè stesso. Proseguendo però nella lettura sono rimasta come sempre invischiata nei ragionamenti di Gaarder e dal fascino di argomenti sui quali mi pongo domande ogni giorno, da quando sono diventata abbastanza grande per avere un'autocoscienza: Chi sono? Perchè sono qui? Da dove vengono questo mondo e questa realtà che mi circonda? E oltre? Oltre al nostro pianeta e alla nostra galassia c'è vita o siamo soli nell'universo? Cosa accade dopo la morte? Esiste un dio creatore del mondo? Oppure tutto è frutto del caso?
Ovviamente non risponderò qui a queste domande, prima di tutto perchè le risposte non le conosco nemmeno io, secondo perchè sono pensieri talmente privati e profondi che sono abituata a parlare sono con me stessa o con poche persone. In ogni caso per me Gaarder è irresistibile, uno stimolo continuo. La forma epistolare è effettivamente perfetta per fare di questo libro un romanzo e non un saggio e contemporaneamente per presentare due punti di vista contrastanti sulla vita e il suo significato.
Io ti chiedo: che cos'è il mondo, Steinn? Cos'è una persona? E cos'è questa avventura stellare in cui galleggiamo come perle magiche di coscienza, di psiche, di ragione e di spirito?
La nostalgia tra due persone nello stesso letto a volte sa essere più doloresa e intensa di una nostalgia che attraversa i continenti.
Però il gran mistero di cui facciamo parte non ha necessariamente solo un aspetto corporeo o materiale. Forse siamo anche spiriti immortali. Forse è questo il nucleo recondito della nostra personalità. Tutto il resto, le stelle e i labirintodonti , in confronto sono solo orpelli superficiali. Il sole non ha più conoscenza di un rospo, o una galassia più di un pidocchio. Sanno solo consumare il loro tempo.
Il Cerchio Celtico
sfide: mistero, del nord e del freddo
Titolo originale: Den Keltiska Ringen
Autore: Björn Larsson
Anno di pubblicazione: 2000
Editore: Iperborea
Pagine: 409
Iniziato il: 12 novembre 2011
Terminato il: 15 novembre 2011
Valutazione:★★★★
Trama
Titolo originale: Den Keltiska Ringen
Autore: Björn Larsson
Anno di pubblicazione: 2000
Editore: Iperborea
Pagine: 409
Iniziato il: 12 novembre 2011
Terminato il: 15 novembre 2011
Valutazione:★★★★
Era il 18 gennaio 1990. Un vento fresco, a tratti forte, soffiava da sud, portando con sè nubi cariche di pioggia.
Il viale della stazione di Limhamn era deserto, a parte qualche isolata automobile i cui fari si riflettevano nelle vetrine o sull'asfalto bagnato.
(incipit)
Trama
Una storia dei giorni nostri, un thriller marinaro ambientato negli anni Novanta che ci porta al Nord, in epiche traversate di mari in tempesta, dalla Danimarca alla Scozia, tra venti scatenati e onde che si ergono come muri d'acqua, in inseguimenti e fughe a vela, in compagnia di Ulf e Torben e il loro "Rustica", sulle tracce di MacDuff e Mary e del misterioso Cerchio Celtico, quell'organizzazione segreta che in Irlanda, Scozia, Paesi Baschi e Bretagna persegue con ogni mezzo il sogno di liberazione del popolo celtico.
(dal retro di copertina)
Commento:
Ma gli autori scandinavi fanno per caso dei corsi di "geniologia della scrittura"? Perchè fino ad ora tutti quelli che ho incontrato si sono rivelati dei narratori strepitosi e anche questo secondo romanzo di Larsson da me letto non fa eccezione. Il Cerchio Celtico è un thriller ma, diversamente della maggior parte dei libri di questo genere, è anche un romanzo di viaggio e un'avventura marinara, oltre che un'immersione nella cultura celtica (della quale io subisco da sempre il fascino) e nei meravigliosi paesaggi scozzesi. Devo ammettere, infatti, che ciò che ho amato di più nel romanzo è stata l'ambientazione in Scozia, una delle terre che più mi affascinano ed ispirano, ma che finora purtroppo ho visitato solo attraverso film e libri. Con questo non voglio dire che la storia non mi sia piaciuta, perchè l'ho trovata appassionante, ma per quanto mi riguarda non era quella la parte fondamentale: ciò che mi ha stregata dello stile di Larsson è stata l'incredibile vividezza con cui disegna con le parole i luoghi e le situazioni.
Nonostante l'azione si svolga prevalentemente in mare e nel libro si incontrino molto spesso espressioni marinare, non ho trovato che queste appesantissero particolarmente il racconto: certo, se avessi conosciuto il loro significato "nella pratica" (quindi non cercato sul vocabolario, ma vissuto), avrei apprezzato ancora di più, ma le situazioni sono ben chiare anche quando non si sa a quale gesto preciso equivalga il termine "allascare" e l'incomprensione delle parole non rende la lettura frustrante (come invece mi era capitato, ad esempio, con Primo comando di Patrick O'Brian - che infatti ho abbandonato). La trama è interessante, anche se non sono riuscita a capire cosa ci sia di inventato e cosa invece sia vero: uno dei punti che più mi ha lasciata perplessa è stata l'affermazione che la Francia non abbia sottoscritto la Dichiarazione per i Diritti Umani in quanto ha effettuato delle discriminazioni nei confronti delle persone di origine celtica, soprattutto in Bretagna. Sono andata a cercare su internet, perchè mi pareva assurdo, e ho trovato che la Dichiarazione per i Diritti Umani è stata firmata nel 1948 a Parigi e redatta, tra gli altri, da un francese. Inoltre, la Dichiarazione del 1948 riflette la prima dichiarazione per i diritti dell'uomo, redatta al termine della rivoluzione francese, proprio dai francesi. Impossibile che proprio la Francia non abbia firmato, quindi se sono stati inventati fatti storici come questo, mi viene da pensare che non ci sia nulla di attendibile nel romanzo, cosa che mi risulta altrettanto strana: va bene inventare i personaggi, l'esistenza di una società segreta di una preparazione millenaria dell'indipendenza celtica, ma anche rimaneggiare in questo modo i fatti storici mi sembra un po' insolito. In ogni caso, la ricostruzione di questa lotta politica segreta dei celti per rendersi un popolo libero e indipendente mi ha affascinato immensamente e così aggiungo un altro argomento alla lista sempre più lunga di quelli che mi piacerebbe approfondire: la cultura celtica.
I personaggi che animano il romanzo mi sono piaciuti molto, senza esclusioni: ho adorato Torben, amante dei libri e della conoscenza che subisce il fascino di Mary, e per lei rischia la pelle, ma anche Ulf e MacDuff sono stati decisamente interessanti, il secondo soprattutto. Imperdibile, infine, la postfazione di Paolo Lodigiani che ci spiega la differenza tra la letteratura di mare e quella che potrebbe essere chiamata "letteratura di barche", la cui differenza sostanziale è che, mentre la letteratura di mare è aperta, comunicativa, estroversa, la letteratura di barche è chiusa e introspettiva: la barca, infatti, è un luogo chiuso, limitato, una specie di isola galleggiante. Il Cerchio Celtico rientra nella letteratura di barche e lo stesso Larsson ha dichiarato che il vero protagonista del romanzo è il Rustica.
Una delle poche occasioni in cui abbiamo abbassato la guardia, è stato quando il paesaggio si è aperto e il Loch Ness si è allargato davanti ai nostri occhi, uno specchio lungo e stretto, circondato da montagne dai fianchi lussureggianti, che a metà strada perdevano la vegetazione per lasciare il posto a cime nude e desolate e a cocuzzoli coperti di neve. Eravamo sopraffatti dalla grandiosità di quella vista e sorpresi dalle acque nere come petrolio del Loch Ness. Non ho mai visto, né prima né poi, un'acqua di quel colore. Aveva una sfumatura che evocava mostri mitologici e attirava il pensiero verso il fondo del lago piuttosto che alla sua superficie.
Per MacDuff il mare non era solo uno stile di vita, era il fondamento stesso del suo rapporto con la realtà. Era imparare a vivere sempre in movimento, a non dare mai niente per scontato, a cercare una sempre maggiore umiltà e rispetto per ciò che l'uomo non domina, e a vivere pienamente ogni istante. In mare si coglie la vera dimensione e il vero valore dell'essere umano.
Per noi che non possiamo vivere senza tracciare confini tra verità e menzogna, tra certezza e fede, è difficile capire un popolo che viveva soltanto di verità e di certezza. Nelle decine di migliaia di versi conservati negli antichi manoscritti irlandesi, non si parla mai, nemmeno una volta, di qualcuno che abbia detto una menzogna. Quella parola non esisteva nemmeno, così come i Celti non avevano un termine per indicare il concetto di favola.
Faccio parte di quelle persone che non si creano aspettative ed evitano di dare qualsiasi cosa per scontata, sia in positivo che in negativo. Un ottimista non ha mai davvero una bella sorpresa. Un pessimista si è aspettato così tanto il peggio che la gioia basta a malapena a recuperare il terreno perduto, se il suo pessimismo si rivela infondato. Ma ormai cominciavo a capire che essere pessimisti offriva dei vantaggi. Se il rischio di contraccolpo è grande, è meglio suddividere la delusione vivendone una parte in anticipo.
Orizzonti infiniti, varietà, voglia di vivere, doveva essere questo che MacDuff aveva avuto e aveva perduto. Impararlo sarebbe stato il mio modo di ricordarmi di lui e di sentire la sua mancanza.
(explicit)
Il Palazzo della Mezzanotte
sfide: a tema, mistero, incrociata
Titolo originale: El Palacio de la Medianoche
Autore: Carlos Ruiz Zafon
Anno di pubblicazione: 2010
Editore: Mondadori
Pagine: 312
Iniziato il: 9 novembre 2011
Terminato il: 10 novembre 2011
Valutazione: ★★★ e mezzo
Trama:
Ben e Sheere sono due gemelli salvati appena nati da morte certa e separati, ancora in fasce, nel tentativo di salvare loro la vita. Dopo sedici anni, il passato bussa prepotentemente alla loro porta con il volto di una minaccia dagli occhi infuocati e i due fratelli sono costretti ad indagare sulla loro storia per scoprire chi e per quale motivo gli sta dando la caccia. Aiutati dai membri della Chowbar Society, la società segreta fondata da Ben e i suoi compagni durante gli anni all'orfanotrofio St. Patricks, i due ragazzi dovranno sfruttare tutto il proprio coraggio e la propria intelligenza per far luce sul mistero delle loro origini.
Commento:
Quando vengo colpita da un autore, mi piace sempre andare a ripescare i suoi lavori precedenti, non perchè mi aspetti di trovare chissà quale capolavoro (se lo trovo, ben venga), ma perchè sono curiosa di scoprire la sua evoluzione e il percorso che ha portato infine alla composizione del tal romanzo, particolarmente bello. Ho fatto così con Jostein Gaarder, e sono stata felicissima di aver scoperto le origini de Il mondo di Sofia tra le pagine di L'enigma del solitario, e così ho fatto anche in questo caso per Carlos Ruiz Zafon, autore che mi ha appassionato con Il gioco dell'angelo, ma mi ha del tutto stregata con L'ombra del vento. Il Palazzo della Mezzanotte è stato il suo secondo romanzo e al suo interno vi sono tutti gli ingredienti che si ritrovano, meglio amalgamati, nei suoi romanzi più recenti. Certo, di difetti ce ne sono: alcune incongruenze a livello di trama [SPOILER. evidenziare per leggere] (ad un certo punto viene detto esplicitamente, come se fosse un particolare fondamentale, che la combinazione dell'ingresso alla casa di Chandra cambia all'uscita di Ian, e che la parola da inserire non sarà più "Dido" ma "Kali". Poche pagine dopo, però, Ben si riprende da una perdita di conoscenza e trova Ian e gli altri accanto a lui nel salone: come hanno fatto a rientrare, non sapendo che la combinazione era cambiata e non essendoci nessun altro in casa a parte Ben - che era svenuto - che potesse aprire dall'interno?), il personaggio del nemico che non è, a mio parere, molto ben curato e a volte poco credibile [SPOILER. evidenziare per leggere](entra in campo il paranormale, è vero, ma a suo modo anche quello deve essere credibile), per citarne alcuni. Però, ed è un però molto importante, il romanzo è appassionante (effetto calamita: impossibile staccarsi dalle pagine), il ritmo incalzante e lo stile estremamante scorrevole; inoltre un paio di volte un brividino mi è corso lungo la schiena. Non c'è nulla da fare: Zafòn ha sempre avuto talento, sa scrivere, e tutti i difetti di questo romanzo sono imputabili esclusivamente al fatto che è uno dei primi, doveva ancora affinarsi e, soprattutto, doveva trovare la storia giusta. Dopotutto questo è il percorso degli scrittori veri: chi viene osannato ed esaltato al primo romanzo, o è un genio, o è un caso montato ad arte per vendere. Di geni, per ora, non ne ho visti.
Titolo originale: El Palacio de la Medianoche
Autore: Carlos Ruiz Zafon
Anno di pubblicazione: 2010
Editore: Mondadori
Pagine: 312
Iniziato il: 9 novembre 2011
Terminato il: 10 novembre 2011
Valutazione: ★★★ e mezzo
Non potrò mai dimenticare la notte in cui nevicò su Calcutta. Il calendario dell’orfanotrofio di St Patrick’s sgranava gli ultimi giorni di maggio del 1932 e si lasciava alle spalle uno dei mesi più caldi che la storia delle città dei palazzi ricordasse.
Giorno dopo giorno, aspettavamo con tristezza e timore l’arrivo di quell’estate nella quale avremo compiuto sedici anni e che avrebbe significato la nostra separazione e lo scioglimento della Chowbar Society, il club segreto e riservato a sette membri esclusivi che era stato il rifugio durante gli anni dell’orfanotrofio. Lì eravamo cresciuti senz’altra famiglia che noi stessi e senza altri ricordi che le storie che ci raccontavamo intorno al fuoco a notte fonda, nel cortile della vecchia casa abbandonata che sorgeva all’angolo tra Cotton Street e Brabourne Road, un casermone in rovina che avevamo ribattezzati il Palazzo della Mezzanotte. Non sapevo, allora, che quella sarebbe stata l’ultima volta che avrei visto il luogo nelle cui strade ero cresciuto e il cui fascino mi ha inseguito fino a oggi.
(incipit)
Trama:
Ben e Sheere sono due gemelli salvati appena nati da morte certa e separati, ancora in fasce, nel tentativo di salvare loro la vita. Dopo sedici anni, il passato bussa prepotentemente alla loro porta con il volto di una minaccia dagli occhi infuocati e i due fratelli sono costretti ad indagare sulla loro storia per scoprire chi e per quale motivo gli sta dando la caccia. Aiutati dai membri della Chowbar Society, la società segreta fondata da Ben e i suoi compagni durante gli anni all'orfanotrofio St. Patricks, i due ragazzi dovranno sfruttare tutto il proprio coraggio e la propria intelligenza per far luce sul mistero delle loro origini.
Commento:
Quando vengo colpita da un autore, mi piace sempre andare a ripescare i suoi lavori precedenti, non perchè mi aspetti di trovare chissà quale capolavoro (se lo trovo, ben venga), ma perchè sono curiosa di scoprire la sua evoluzione e il percorso che ha portato infine alla composizione del tal romanzo, particolarmente bello. Ho fatto così con Jostein Gaarder, e sono stata felicissima di aver scoperto le origini de Il mondo di Sofia tra le pagine di L'enigma del solitario, e così ho fatto anche in questo caso per Carlos Ruiz Zafon, autore che mi ha appassionato con Il gioco dell'angelo, ma mi ha del tutto stregata con L'ombra del vento. Il Palazzo della Mezzanotte è stato il suo secondo romanzo e al suo interno vi sono tutti gli ingredienti che si ritrovano, meglio amalgamati, nei suoi romanzi più recenti. Certo, di difetti ce ne sono: alcune incongruenze a livello di trama [SPOILER. evidenziare per leggere] (ad un certo punto viene detto esplicitamente, come se fosse un particolare fondamentale, che la combinazione dell'ingresso alla casa di Chandra cambia all'uscita di Ian, e che la parola da inserire non sarà più "Dido" ma "Kali". Poche pagine dopo, però, Ben si riprende da una perdita di conoscenza e trova Ian e gli altri accanto a lui nel salone: come hanno fatto a rientrare, non sapendo che la combinazione era cambiata e non essendoci nessun altro in casa a parte Ben - che era svenuto - che potesse aprire dall'interno?), il personaggio del nemico che non è, a mio parere, molto ben curato e a volte poco credibile [SPOILER. evidenziare per leggere](entra in campo il paranormale, è vero, ma a suo modo anche quello deve essere credibile), per citarne alcuni. Però, ed è un però molto importante, il romanzo è appassionante (effetto calamita: impossibile staccarsi dalle pagine), il ritmo incalzante e lo stile estremamante scorrevole; inoltre un paio di volte un brividino mi è corso lungo la schiena. Non c'è nulla da fare: Zafòn ha sempre avuto talento, sa scrivere, e tutti i difetti di questo romanzo sono imputabili esclusivamente al fatto che è uno dei primi, doveva ancora affinarsi e, soprattutto, doveva trovare la storia giusta. Dopotutto questo è il percorso degli scrittori veri: chi viene osannato ed esaltato al primo romanzo, o è un genio, o è un caso montato ad arte per vendere. Di geni, per ora, non ne ho visti.
In quel momento [...] mi bastò osservare il volto del mio amico Ben mentre parlava con Sheere per intuire che la ruota della fortuna aveva invertito il suo giro e che sul tavolo c'era una mano al buio, la cui posta ci spingeva a giocare una partita al di là delle nostre possibilità.
(Ian)
«Ci sono due cose nella vita che non puoi sceglierti, Ben. La prima sono i tuoi nemici. La seconda, la tua famiglia. A volte la differenza tra gli uni e l'altra è difficile da cogliere, ma il tempo insegna che, in fin dei conti, le tue carte avrebbero sempre potuto essere peggiori. La vita, figlio mio, è come la prima partita di scacchi. Quando inizi a capire come si muovono i pezzi, hai già perso.»
Le voci di Nike
Autore: Silvia M. Damiani
Anno di pubblicazione: 2010
Editore: ExCogita Editore
Pagine: 136
Iniziato il: 28 ottobre 2011
Terminato il: 07 novembre 2011
Valutazione: ★★ e mezzo
In un’atmosfera goticheggiante fuori da ogni tempo, la principessa Nike fugge gli aguzzini del principe Nabil, nemico e traditore, inseguita da un canto – a lei familiare e alieno insieme – trasportato dal vento. Avvolta da una spirale di incantesimi, voci e volti seducenti, che sembrano emergere da un passato dimenticato, la protagonista dovrà trovare in sé il potere per salvare, una volta per tutte, l’amore che le è stato violentemente sottratto da una volontà superiore.
“Sei nodi, uno per ogni senso, l’ultimo per il cuore”: l’intrecciarsi e il riflettersi della narrazione, condotta con originale maestria da questa giovane autrice, avvinceranno il lettore a un romanzo fantastico, lontano dai cliché del genere.
Commento:
Niente da fare, purtroppo tra me e questo libro è stata una lotta. Mi dispiace tantissimo, perché sono sempre felice quando, tramite le diverse catene di lettura a cui partecipo, scopro bellissime storie scritte da autori poco conosciuti, ma purtroppo questa volta non è scattata la scintilla: l'autrice in realtà scrive bene, si vede che c'è stato del lavoro dietro a questo racconto, il libro non è scritto tanto per fare. Il problema fondamentale è che secondo me è davvero troppo, troppo ingarbugliato: a me generalmente piace molto l'espediente di lasciar comprendere solo alla fine il vero significato di tutti gli elementi della storia e apprezzo anche gli slittamenti temporali, ma nel caso di questo racconto, per i miei gusti ci sono troppi giri.
Indubbiamente non è facile riuscire a scrivere un romanzo non lineare: bisogna avere perfettamente in testa tutta la trama e riuscire poi a smembrarla sparpagliando i vari tasselli attraverso le pagine e lo sforzo dell'autrice è da riconoscere, però non posso nascondere che la sovrabbondanza di parti apparentemente slegate tra loro, invece che catturarmi ha provocato l'effetto opposto e mi ha tenuta a distanza. Inoltre i personaggi sono rimasti lontani da me durante tutta la lettura: erano là, sullo sfondo, li vedevo sfocati e facevo fatica ad inquadrarli. L'unica che mi ha provocato qualche emozione è stata la protagonista, ma solo perché era talmente inerte da esasperarmi: cadeva in continuazione e ogni volta mi innervosiva.
Ciò che senza dubbio è stato reso alla perfezione è l'atmosfera ovattata perfetta per una fiaba, in cui sembra di essere immersi in un sogno senza tempo, dove ogni tanto appaiono immagini che poi scompaiono e in cui i pezzi si mescolano lasciando un senso di disorientamento. In generale, dal punto di vista dello stile, la scrittrice è stata molto brava, su questo non c'è dubbio. La questione è che non è riuscita ad avvinghiarmi e dopo un po' ho iniziato ad arrancare davvero con fatica. Ho voluto comunque sforzarmi di portare a termine la lettura perchè non mi sembrava giusto lasciarla a metà, dato che l'autrice è stata così gentile da mettere a nostra disposizione gratuitamente il suo lavoro, e come minimo meritava la lettura completa.
Anno di pubblicazione: 2010
Editore: ExCogita Editore
Pagine: 136
Iniziato il: 28 ottobre 2011
Terminato il: 07 novembre 2011
Valutazione: ★★ e mezzo
La vecchia camminava da tempo immemorabile.Trama:
"Un colpo secco, null'altro."
I piedi nudi accarezzavano l'erba profumata, ma il suo corpo non pareva nemmeno accorgersene: con la schiena curva, i capelli spenti e la pelle avvizzita, la donna dava l'impressione di portare sulle spalle una stanchezza inumana; aveva gli arti intorpiditi dal freddo, eppure continuava a camminare, guidata solamente dall'inerzia dei propri passi.
(incipit)
In un’atmosfera goticheggiante fuori da ogni tempo, la principessa Nike fugge gli aguzzini del principe Nabil, nemico e traditore, inseguita da un canto – a lei familiare e alieno insieme – trasportato dal vento. Avvolta da una spirale di incantesimi, voci e volti seducenti, che sembrano emergere da un passato dimenticato, la protagonista dovrà trovare in sé il potere per salvare, una volta per tutte, l’amore che le è stato violentemente sottratto da una volontà superiore.
“Sei nodi, uno per ogni senso, l’ultimo per il cuore”: l’intrecciarsi e il riflettersi della narrazione, condotta con originale maestria da questa giovane autrice, avvinceranno il lettore a un romanzo fantastico, lontano dai cliché del genere.
(dal retro di copertina)
Commento:
Niente da fare, purtroppo tra me e questo libro è stata una lotta. Mi dispiace tantissimo, perché sono sempre felice quando, tramite le diverse catene di lettura a cui partecipo, scopro bellissime storie scritte da autori poco conosciuti, ma purtroppo questa volta non è scattata la scintilla: l'autrice in realtà scrive bene, si vede che c'è stato del lavoro dietro a questo racconto, il libro non è scritto tanto per fare. Il problema fondamentale è che secondo me è davvero troppo, troppo ingarbugliato: a me generalmente piace molto l'espediente di lasciar comprendere solo alla fine il vero significato di tutti gli elementi della storia e apprezzo anche gli slittamenti temporali, ma nel caso di questo racconto, per i miei gusti ci sono troppi giri.
Indubbiamente non è facile riuscire a scrivere un romanzo non lineare: bisogna avere perfettamente in testa tutta la trama e riuscire poi a smembrarla sparpagliando i vari tasselli attraverso le pagine e lo sforzo dell'autrice è da riconoscere, però non posso nascondere che la sovrabbondanza di parti apparentemente slegate tra loro, invece che catturarmi ha provocato l'effetto opposto e mi ha tenuta a distanza. Inoltre i personaggi sono rimasti lontani da me durante tutta la lettura: erano là, sullo sfondo, li vedevo sfocati e facevo fatica ad inquadrarli. L'unica che mi ha provocato qualche emozione è stata la protagonista, ma solo perché era talmente inerte da esasperarmi: cadeva in continuazione e ogni volta mi innervosiva.
Ciò che senza dubbio è stato reso alla perfezione è l'atmosfera ovattata perfetta per una fiaba, in cui sembra di essere immersi in un sogno senza tempo, dove ogni tanto appaiono immagini che poi scompaiono e in cui i pezzi si mescolano lasciando un senso di disorientamento. In generale, dal punto di vista dello stile, la scrittrice è stata molto brava, su questo non c'è dubbio. La questione è che non è riuscita ad avvinghiarmi e dopo un po' ho iniziato ad arrancare davvero con fatica. Ho voluto comunque sforzarmi di portare a termine la lettura perchè non mi sembrava giusto lasciarla a metà, dato che l'autrice è stata così gentile da mettere a nostra disposizione gratuitamente il suo lavoro, e come minimo meritava la lettura completa.
La morte nel villaggio
sfide: generi letterari, bersaglio, percorsi di senso, mistero
Titolo originale: Murder at the Vicarage
Autore: Agatha Christie
Anno di pubblicazione: 1980
Editore: Mondadori
Pagine: 195
Iniziato il: 05 novembre 2011
Terminato il: 06 novembre 2011
Valutazione: ★★★★
La tranquillità del villaggio di St. Mary Mead viene scossa dall'omicidio del colonnello Protheroe, un uomo burbero e poco simpatico, ucciso da un colpo di rivoltella nella biblioteca del vicariato. Sembra inizialmente un caso di facile soluzione per l'ispettore Slack, ma una serie di eventi curiosi e di contraddizioni lo trasformano in un vero e proprio enigma che solo l'acuta Miss Marple riuscirà a risolvere.
Commento:
Il mio primo romanzo di Agatha Christie; complici alcune sfide di anobii, sono finalmente riuscita a leggere un giallo di questa grandissima signora del mistero e ne sono rimasta soddisfattissima, come prevedevo. Io non sono, infatti, un'amante di storie truculente o angoscianti: ho provato una volta a leggere un romanzo di Patricia Cornwell, mi pare fosse Calliphora (mia mamma è una grande fan di Kay Scarpetta), ma mi ha messo addosso talmente tanta ansia che ho deciso di cambiare genere. Se non mi piace che il narratore si soffermi troppo su dettagli macabri e sanguinosi, o mi faccia morire di paura mentre l'assassino zompa all'improvviso alle spalle del protagonista, adoro invece gli enigmi e cercare di risolverli insieme al detective di turno; per questo preferisco provare con i gialli "classici", al centro dei quali non c'è la mente malata di un serial killer che poi mi aspetto di ritrovarmi nascosto dietro ai cespugli sotto casa, ma un puzzle ben congegnato che va risolto mettendo insieme tutti i pezzi sparsi nel racconto. In questo mio primo tentativo ho fallito miseramente: sono cascata in pieno nel tentativo di depistaggio organizzato dal colpevole e sono costretta ad ammettere che avrei mandato in prigione un innocente. Meno male che Miss Marple è molto più sveglia di me.
Il romanzo è narrato in prima persona dal vicario di St. Mary Mead, Leonard Clement, il quale, dopo aver scoperto il cadavere del colonnello Protheroe nella sua biblioteca, inizia a giocare al detective, grazie anche al fatto che la maggior parte degli abitanti del villaggio preferiscono rivolgersi a lui piuttosto che alla polizia per rivelare informazioni. Miss Marple è una delle vecchiette un po' pettegole che animano il paese; a differenza delle sue compagne, però, è una grande osservatrice e possiede una mente molto acuta, oltre alla straordinaria prerogativa di trovarsi sempre nel posto giusto al momento giusto. Ad essere sincera, mi aspettavo che a narrare la vicenda fosse Miss Marple, o per lo meno che facesse parte dei personaggi principali; l'anziana signora, invece, compare solo ogni tanto all'interno del racconto per insinuare qualche dubbio e riportarci sulla retta via, e fa poi il suo ingresso trionfale nella scena finale nella quale rivela l'identità dell'assassino, la dinamica del delitto e il percorso che l'ha condotta verso la soluzione. Spero che nelle sue avventure successive sia un po' più presente, perchè è una figura che mi incuriosisce molto e mi piacerebbe conoscerla meglio.
Titolo originale: Murder at the Vicarage
Autore: Agatha Christie
Anno di pubblicazione: 1980
Editore: Mondadori
Pagine: 195
Iniziato il: 05 novembre 2011
Terminato il: 06 novembre 2011
Valutazione: ★★★★
Non è tanto facile sapere con precisione da che parte cominciare questo racconto, ma ho fissato la mia scelta su un certo mercoledì all'ora della colazione in canonica. Benchè la nostra conversazione di quel giorno non avesse in fondo nulla a che fare con quanto mi accingo a scrivere, pure qualcuna delle frasi pronunciate ebbe più tardi una certa importanza sugli avvenimenti che sto per narrare.Trama:
(incipit)
La tranquillità del villaggio di St. Mary Mead viene scossa dall'omicidio del colonnello Protheroe, un uomo burbero e poco simpatico, ucciso da un colpo di rivoltella nella biblioteca del vicariato. Sembra inizialmente un caso di facile soluzione per l'ispettore Slack, ma una serie di eventi curiosi e di contraddizioni lo trasformano in un vero e proprio enigma che solo l'acuta Miss Marple riuscirà a risolvere.
Commento:
Il mio primo romanzo di Agatha Christie; complici alcune sfide di anobii, sono finalmente riuscita a leggere un giallo di questa grandissima signora del mistero e ne sono rimasta soddisfattissima, come prevedevo. Io non sono, infatti, un'amante di storie truculente o angoscianti: ho provato una volta a leggere un romanzo di Patricia Cornwell, mi pare fosse Calliphora (mia mamma è una grande fan di Kay Scarpetta), ma mi ha messo addosso talmente tanta ansia che ho deciso di cambiare genere. Se non mi piace che il narratore si soffermi troppo su dettagli macabri e sanguinosi, o mi faccia morire di paura mentre l'assassino zompa all'improvviso alle spalle del protagonista, adoro invece gli enigmi e cercare di risolverli insieme al detective di turno; per questo preferisco provare con i gialli "classici", al centro dei quali non c'è la mente malata di un serial killer che poi mi aspetto di ritrovarmi nascosto dietro ai cespugli sotto casa, ma un puzzle ben congegnato che va risolto mettendo insieme tutti i pezzi sparsi nel racconto. In questo mio primo tentativo ho fallito miseramente: sono cascata in pieno nel tentativo di depistaggio organizzato dal colpevole e sono costretta ad ammettere che avrei mandato in prigione un innocente. Meno male che Miss Marple è molto più sveglia di me.
Il romanzo è narrato in prima persona dal vicario di St. Mary Mead, Leonard Clement, il quale, dopo aver scoperto il cadavere del colonnello Protheroe nella sua biblioteca, inizia a giocare al detective, grazie anche al fatto che la maggior parte degli abitanti del villaggio preferiscono rivolgersi a lui piuttosto che alla polizia per rivelare informazioni. Miss Marple è una delle vecchiette un po' pettegole che animano il paese; a differenza delle sue compagne, però, è una grande osservatrice e possiede una mente molto acuta, oltre alla straordinaria prerogativa di trovarsi sempre nel posto giusto al momento giusto. Ad essere sincera, mi aspettavo che a narrare la vicenda fosse Miss Marple, o per lo meno che facesse parte dei personaggi principali; l'anziana signora, invece, compare solo ogni tanto all'interno del racconto per insinuare qualche dubbio e riportarci sulla retta via, e fa poi il suo ingresso trionfale nella scena finale nella quale rivela l'identità dell'assassino, la dinamica del delitto e il percorso che l'ha condotta verso la soluzione. Spero che nelle sue avventure successive sia un po' più presente, perchè è una figura che mi incuriosisce molto e mi piacerebbe conoscerla meglio.
Miss Marple è una vecchietta coi capelli bianchi e dai modi sempre molto timidi e mansueti. La signorina Wetherby è un misto di miele e di aceto. Miss Marple è certamente la più pericolosa delle due.
"La famosa intuizione di cui si fa un gran parlare, sta in fondo tutta qui. Intuire significa in realtà leggere una parola senza bisogno di compitarla. I bambini non ci riescono perchè mancano di esercizio, ma i grandi riconoscono subito la parola, per averla vista molte volte nel corso della loro vita."
(Miss Marple)
Rycerca (Saga di Septimus Heap #4)
sfide: serial readers, mattonazzi
Titolo originale: Queste
Autore: Angie Sage
Anno di pubblicazione: 2011
Editore: Salani
Pagine: 528
Iniziato il: 21 ottobre 2011
Terminato il: 27 ottobre 2011
Valutazione: ★★★★
Dopo la rocambolesca fuga dal passato, Jenna e Septimus sono costretti a trovare un modo per riportare nel loro Tempo anche Nicko e Snorri, rimasti intrappolati all'epoca di Marcellus Pye e la regina Etheldredda. A complicare le cose ci si mettono il malvagio fantasma Tertius Fume e Merrin Meredith, che non riesce a darsi pace per essere stato scaricato dal suo vecchio Mago StraOrdinario Dom Daniel e vuole riprendersi l'identità che Septimus gli ha, secondo lui, rubato. Così Sep e Jen, accompagnati dall'amico Beetle e aiutati da un misterioso quanto gentile uomo-topo, si imbarcheranno nella Rycerca, dalla quale nessun Apprendista è mai tornato.
Commento:
Urca! L'ho finito! Chissà adesso quanti anni mi toccherà aspettare prima che traducano anche il volume successivo della saga! Si, ma questa volta non ho intenzione di aspettare: mi procuro le versioni elettroniche in lingua originale e quando la Salani si degnerà di pubblicare, allora prenderò il cartaceo, altrimenti qui finisce che li leggeranno prima i miei figli e nipoti.
Come sempre, fantastico. Mi rendo perfettamente conto che questi romanzi sono pieni di difetti, non sono particolarmente profondi e soprattutto l'autrice si inventa molte soluzioni di comodo che probabilmente molti altri lettori non le lascerebbero passare, ma io non ce la faccio, non riesco ad essere obiettiva, perchè le avventure di Septimus mi piacciono troppo! Adoro l'ambientazione, mi sono innamorata dei personaggi che sono davvero troppo, troppo simpatici, anche i cattivi. Ogni pagina, poi, è percorsa da una leggera ironia, che mi rende felice e serena, ed è una sensazione così bella, che mi permette di chiudere un occhio su tante cose.
In quest'episodio conosciamo meglio un personaggio che già ci era stato presentato in passato, ma che era stato solo una comparsa nelle avventure dei suoi amici: sto parlando di Beetle, il simpaticissimo impiegato (o dovrei dire ex impiegato) della Manuscriptorium, migliore amico di Septimus e con una tenerissima cotta per Jenna. Tornano anche delle vecchie conoscenze: Simon e Lucy (che finalmente sono riusciti a riunirsi), Merrin Meredith (che le prova davvero tutte per liberarsi di Septimus) e faremo anche una visita ai fratelli Heap alle Streghe di Wendtron nella foresta. Il viaggio per raggiungere la Casa dei Foryx, il luogo in cui tutti i Tempi si Incontrano è pieno di pericoli e di prove da superare, e alla fine abbiamo anche un bel colpo di scena che non mi aspettavo. Adesso già pregusto il nuovo volume, che siccome si intitola Syren, mi fa pensare che lasceremo la terra ferma per addentrarci nelle profondità marine: speriamo!!
Titolo originale: Queste
Autore: Angie Sage
Anno di pubblicazione: 2011
Editore: Salani
Pagine: 528
Iniziato il: 21 ottobre 2011
Terminato il: 27 ottobre 2011
Valutazione: ★★★★
C'è il mercato settimanale su Viale dei Maghi. Una ragazza e un ragazzo si sono fermati al banco delle aringhe in salamoia. Il ragazzo ha i capelli chiari, intrecciati in uno stile che i marinai avrebbero adottato solo in un lontano futuro. Gli occhi verdi hanno un'espressione seria, quasi triste, mentre cerca di convincere la ragazza a lasciargli comprare delle aringhe per lei.Trama:
(incipit)
Dopo la rocambolesca fuga dal passato, Jenna e Septimus sono costretti a trovare un modo per riportare nel loro Tempo anche Nicko e Snorri, rimasti intrappolati all'epoca di Marcellus Pye e la regina Etheldredda. A complicare le cose ci si mettono il malvagio fantasma Tertius Fume e Merrin Meredith, che non riesce a darsi pace per essere stato scaricato dal suo vecchio Mago StraOrdinario Dom Daniel e vuole riprendersi l'identità che Septimus gli ha, secondo lui, rubato. Così Sep e Jen, accompagnati dall'amico Beetle e aiutati da un misterioso quanto gentile uomo-topo, si imbarcheranno nella Rycerca, dalla quale nessun Apprendista è mai tornato.
Commento:
Urca! L'ho finito! Chissà adesso quanti anni mi toccherà aspettare prima che traducano anche il volume successivo della saga! Si, ma questa volta non ho intenzione di aspettare: mi procuro le versioni elettroniche in lingua originale e quando la Salani si degnerà di pubblicare, allora prenderò il cartaceo, altrimenti qui finisce che li leggeranno prima i miei figli e nipoti.
Come sempre, fantastico. Mi rendo perfettamente conto che questi romanzi sono pieni di difetti, non sono particolarmente profondi e soprattutto l'autrice si inventa molte soluzioni di comodo che probabilmente molti altri lettori non le lascerebbero passare, ma io non ce la faccio, non riesco ad essere obiettiva, perchè le avventure di Septimus mi piacciono troppo! Adoro l'ambientazione, mi sono innamorata dei personaggi che sono davvero troppo, troppo simpatici, anche i cattivi. Ogni pagina, poi, è percorsa da una leggera ironia, che mi rende felice e serena, ed è una sensazione così bella, che mi permette di chiudere un occhio su tante cose.
In quest'episodio conosciamo meglio un personaggio che già ci era stato presentato in passato, ma che era stato solo una comparsa nelle avventure dei suoi amici: sto parlando di Beetle, il simpaticissimo impiegato (o dovrei dire ex impiegato) della Manuscriptorium, migliore amico di Septimus e con una tenerissima cotta per Jenna. Tornano anche delle vecchie conoscenze: Simon e Lucy (che finalmente sono riusciti a riunirsi), Merrin Meredith (che le prova davvero tutte per liberarsi di Septimus) e faremo anche una visita ai fratelli Heap alle Streghe di Wendtron nella foresta. Il viaggio per raggiungere la Casa dei Foryx, il luogo in cui tutti i Tempi si Incontrano è pieno di pericoli e di prove da superare, e alla fine abbiamo anche un bel colpo di scena che non mi aspettavo. Adesso già pregusto il nuovo volume, che siccome si intitola Syren, mi fa pensare che lasceremo la terra ferma per addentrarci nelle profondità marine: speriamo!!
L'evoluzione di Calpurnia
sfide: alfabeto, solo donna
Titolo originale: The Evolution of Calpurnia Tate
Autore: Jaqueline Kelly
Anno di pubblicazione: 2011
Editore: Salani
Pagine: 288
Iniziato il: 21 ottobre 2011
Terminato il: 26 ottobre 2011
Valutazione: ★★★★
Calpurnia Virginia Tate, unica figlia femmina in una numerosa famiglia texana di fine ottocento, è una ragazzina diversa dalle altre: non le interessa imparare a cucinare, a rammendare, a suonare il pianoforte e non desidera diventare una madre di famiglia. Calpurnia è una naturalista, e soli a undici anni il suo più grande interesse è osservare la natura che la circonda e scoprirne i segreti: perché le cavallette gialle sopravvivono meglio negli aridi territori texani rispetto a quelle verdi? E cosa succede quando un bruco diventa farfalla? Guidata dal nonno, Calpurnia si addentrerà nei misteri dell'evoluzione e della scienza, imparando anche a conoscere sé stessa e le proprie aspirazioni.
Commento:
La letteratura per ragazzi, la vera letteratura per ragazzi, ha spesso tra i suoi protagonisti bambini e bambine un po' speciali e diversi dagli altri; a volte perché hanno una famiglia particolare (o non l'hanno proprio), altre perché sono dotati di caratteristiche insolite per la loro età o per la loro condizione sociale. Calpurnia prende le distanze da quell'accozzaglia di streghe, dee, maghe e maghette che ultimamente invadono le pagine dei romanzi per ragazzi tentando di imitare il successo di pochi, e va ad unirsi alle schiere di questi protagonisti interessanti e originali che rimangono davvero impressi nella nostra memoria di lettori e che ci ricordano che anche la nostra vita quotidiana permette di vivere avventure straordinarie, se si è abbastanza curiosi per cercarle.
Lo stile del romanzo è piuttosto semplice e in alcuni punti del racconto mi è sembrato forse un po' semplicistico; non mi riferisco agli aspetti scientifici, che ho trovato estremamente chiari e adatti al pubblico di ragazzi a cui è rivolto il libro, quanto ad alcuni episodi della narrazione, soprattutto dialoghi, nei quali a volte mancava quel tocco, quella caratterizzazione che rende ogni parola detta assolutamente essenziale ai fini del racconto. Le solite recensioni esagerate e palesemente pubblicitarie l'hanno definita "la nuova Pippi Calzelunghe"; non è vero, non centra niente, soprattutto perchè l'autrice, pur essendo brava, non è Astrid Lindgren e non ha le stesse capacità. Questo non toglie che il libro sia davvero molto, molto carino e che valga sicuramente la pena di essere letto.
Essendo io un'appassionata di scienze naturali e amando follemente tutti i romanzi che parlano di animali e natura, ho seguito con entusiasmo le scoperte naturalistiche di Calpurnia e nonno Walter Tate e ho trovato un'ottima idea legare i diversi capitoli al libro che sta alla base del romanzo, ovvero L'origine delle specie di Charles Darwin: ogni capitolo, infatti, viene aperto da una citazione presa dal libro di Darwin, e ciò che viene narrato al suo interno è la dimostrazione pratica della frase di apertura. Oltre a parlare di evoluzione, il libro è anche un romanzo storico, perchè ci mostra uno spaccato della società texana alle soglie del 20° secolo, con tutte le sue innovazioni (il telefono, la coca-cola, l'automobile), i suoi cambiamenti e le sue tradizioni (soprattutto per quanto riguarda il ruolo della donna).
Infine, la copertina, che è meravigliosa, e mi è dispiaciuto tantissimo aver letto l'ebook (per ora ancora sul computer non avendo ancora un ebook reader) perchè non ho potuto godermela come è invece possibile fare con la versione cartacea.
Titolo originale: The Evolution of Calpurnia Tate
Autore: Jaqueline Kelly
Anno di pubblicazione: 2011
Editore: Salani
Pagine: 288
Iniziato il: 21 ottobre 2011
Terminato il: 26 ottobre 2011
Valutazione: ★★★★
Quando un giovane naturalista intraprende lo studio di organismi a lui del tutto sconosciuti, la sua prima grande perplessità è quella di determinare quali siano le differenze che indicano una specie e quali una varietà, poiché egli non sa quale sia la quantità delle variazioni a cui il gruppo è soggetto...Trama:
(incipit)
Calpurnia Virginia Tate, unica figlia femmina in una numerosa famiglia texana di fine ottocento, è una ragazzina diversa dalle altre: non le interessa imparare a cucinare, a rammendare, a suonare il pianoforte e non desidera diventare una madre di famiglia. Calpurnia è una naturalista, e soli a undici anni il suo più grande interesse è osservare la natura che la circonda e scoprirne i segreti: perché le cavallette gialle sopravvivono meglio negli aridi territori texani rispetto a quelle verdi? E cosa succede quando un bruco diventa farfalla? Guidata dal nonno, Calpurnia si addentrerà nei misteri dell'evoluzione e della scienza, imparando anche a conoscere sé stessa e le proprie aspirazioni.
Commento:
La letteratura per ragazzi, la vera letteratura per ragazzi, ha spesso tra i suoi protagonisti bambini e bambine un po' speciali e diversi dagli altri; a volte perché hanno una famiglia particolare (o non l'hanno proprio), altre perché sono dotati di caratteristiche insolite per la loro età o per la loro condizione sociale. Calpurnia prende le distanze da quell'accozzaglia di streghe, dee, maghe e maghette che ultimamente invadono le pagine dei romanzi per ragazzi tentando di imitare il successo di pochi, e va ad unirsi alle schiere di questi protagonisti interessanti e originali che rimangono davvero impressi nella nostra memoria di lettori e che ci ricordano che anche la nostra vita quotidiana permette di vivere avventure straordinarie, se si è abbastanza curiosi per cercarle.
Lo stile del romanzo è piuttosto semplice e in alcuni punti del racconto mi è sembrato forse un po' semplicistico; non mi riferisco agli aspetti scientifici, che ho trovato estremamente chiari e adatti al pubblico di ragazzi a cui è rivolto il libro, quanto ad alcuni episodi della narrazione, soprattutto dialoghi, nei quali a volte mancava quel tocco, quella caratterizzazione che rende ogni parola detta assolutamente essenziale ai fini del racconto. Le solite recensioni esagerate e palesemente pubblicitarie l'hanno definita "la nuova Pippi Calzelunghe"; non è vero, non centra niente, soprattutto perchè l'autrice, pur essendo brava, non è Astrid Lindgren e non ha le stesse capacità. Questo non toglie che il libro sia davvero molto, molto carino e che valga sicuramente la pena di essere letto.
Essendo io un'appassionata di scienze naturali e amando follemente tutti i romanzi che parlano di animali e natura, ho seguito con entusiasmo le scoperte naturalistiche di Calpurnia e nonno Walter Tate e ho trovato un'ottima idea legare i diversi capitoli al libro che sta alla base del romanzo, ovvero L'origine delle specie di Charles Darwin: ogni capitolo, infatti, viene aperto da una citazione presa dal libro di Darwin, e ciò che viene narrato al suo interno è la dimostrazione pratica della frase di apertura. Oltre a parlare di evoluzione, il libro è anche un romanzo storico, perchè ci mostra uno spaccato della società texana alle soglie del 20° secolo, con tutte le sue innovazioni (il telefono, la coca-cola, l'automobile), i suoi cambiamenti e le sue tradizioni (soprattutto per quanto riguarda il ruolo della donna).
Infine, la copertina, che è meravigliosa, e mi è dispiaciuto tantissimo aver letto l'ebook (per ora ancora sul computer non avendo ancora un ebook reader) perchè non ho potuto godermela come è invece possibile fare con la versione cartacea.
Che cos’era di preciso un naturalista? Non lo sapevo, ma decisi che per il resto dell’estate lo sarei stata. Se significava soltanto scrivere ciò che vedevi intorno a te, potevo farlo.
Inoltre, ora che possedevo qualcosa per prendere appunti, vedevo cose che non avevo mai notato prima.
«Uh!» gridai balzando indietro, e per poco non feci cadere tutta l’apparecchiatura. «Eeehi» dissi sistemando il microscopio. Alzai lo sguardo su Nonno.
«Deduco che hai visto le tue prime creature microscopiche» commentò sorridendo. «Platone diceva che tutte le scienze nascono dallo stupore».
«Santo cielo» dissi, e guardai di nuovo attraverso la lente. Una cosa con molti peli sottili passò remigando ad alta velocità; un’altra cosa con la coda sferzante schizzò nel centro; una sfera spinata ruzzolante come una mazza ferrata medievale rotolò via; ombre delicate, fantasmagoriche, apparivano nel campo visivo e sparivano. Era caotico, era selvaggio, era... la cosa più straordinaria che avessi mai visto.
Non mi ero mai catalogata insieme alle altre ragazze. Io ero diversa; non appartenevo alla loro specie. Non avevo mai pensato che il mio futuro sarebbe stato come il loro. Ma in quel momento capii che non era vero, che ero esattamente come le altre ragazze. Era previsto che consegnassi la mia vita a una casa, un marito, dei figli. Ci si aspettava che abbandonassi i miei studi naturalistici, il mio Taccuino, il mio amato fiume. Era questo il perfido scopo di tutto il cucito e la cucina che cercavano di inculcarmi, delle tediose lezioni che avevo disdegnato ed evitato. Mi venne caldo, poi freddo dappertutto. In fondo la mia vita non era con la Pianta. La mia vita era il prezzo da pagare. Perché non l’avevo capito? Ero in trappola.
Alkymia (Saga di Septimus Heap #3)
sfide: serial readers, mattonazzi, incrociata
Titolo originale: Physik
Autore: Angie Sage
Anno di pubblicazione: 2007
Editore: Salani
Pagine: 511
Iniziato il: 18 ottobre 2011
Terminato il: 20 ottobre 2011
Valutazione: ★★★
In questo episodio, ci troviamo di fronte ad una nuova minaccia: il fantasma un po' troppo solido della malvagissima e antipaticissima Regina Etheldredda, vissuta cinquecento anni prima, ha tutta l'intenzione di ottenere la vita eterna e di tornare a regnare, e per fare ciò ha naturalmente bisogno di un settimo figlio di un settimo figlio da rispedire dritto dritto nel passato senza possibilità di ritorno. Siccome per sua immensa sfortuna l'unico settimo di un settimo in circolazione è Septimus, sarà lui a ritrovarsi imprigionato nella sua stessa Città, ma in un'epoca completamente diversa.
Come sempre Angie Sage riesce a farmi amare i suoi romanzi con la sua simpatia e le sue trovate strampalate; inoltre mi ha fatto davvero morire dal ridere leggere i capitoli scritti nella Lingua Antica che, almeno nella traduzione italiana, altro non è che una buffa versione dell'italiano antico, imperciocchè ciascun personaggio s'esprime con codesto tono aulico ed alquanto vetusto.
Purtroppo la mia amata Marcia non si vede tanto: compare solo in alcuni capitoli all'inizio e alla fine (anche se la sua presenza in questi momenti si sente eccome) perchè rimane nel suo Tempo a cercare un modo per far tornare a casa Septimus e non lo segue, come invece fanno gli altri tre matti. C'è invece un leggero cambio di tono in questo libro rispetto alla spensieratezza dei precedenti perchè vi è il primo lutto della saga: Alice Nettels, la Capo Doganiere del porto, viene uccisa dalla Regina Etheldredda, salvando così la vita a Jenna. Il momento è triste, però sappiamo per lo meno che a) la rivedremo quasi sicuramente perchè la città è piena di fantasmi, b) finalmente potrà passare l'eternità accanto al suo amato Alther. In ogni caso, adesso ci sono da salvare Nicko e Snorri!!
Titolo originale: Physik
Autore: Angie Sage
Anno di pubblicazione: 2007
Editore: Salani
Pagine: 511
Iniziato il: 18 ottobre 2011
Terminato il: 20 ottobre 2011
Valutazione: ★★★
Silas Heap e Gringe, il Guardiano della Porta Settentrionale, si trovano in un angolo buio e polveroso della soffitta del Palazzo. Di fronte a loro c'è la porticina di una stanza Sigillata, che Silas Heap, Mago Ordinario, sta per Dissigillare. «Vedi, Gringe» spiega, «è il posto perfetto. Le mie pedine non riusciranno mai a fuggire da qui. Basta che le Sigilli dentro».Odio Silas Heap! No, non è vero, è fantastico e un papà meraviglioso, ma è troppo, davvero troppo stordito! Cosa farei io se abitassi al Castello, circondata da incantesimi e Magya Oscura e mi trovassi di fronte una porta Sigillata? Probabilmente la lascerei così com'è, ma se avessi proprio la necessità di entrarci, per lo meno mi informerei su come mai qualcuno abbia mai sentito il bisogno di Sigillarla. E invece no; e così, per la sua sbadataggine, ad andarci di mezzo sono i soliti Septimus, Jenna e Nicko, che questa volta si portano dietro anche due nuovi amici, Snorri e il suo gatto Urrl.
(incipit)
In questo episodio, ci troviamo di fronte ad una nuova minaccia: il fantasma un po' troppo solido della malvagissima e antipaticissima Regina Etheldredda, vissuta cinquecento anni prima, ha tutta l'intenzione di ottenere la vita eterna e di tornare a regnare, e per fare ciò ha naturalmente bisogno di un settimo figlio di un settimo figlio da rispedire dritto dritto nel passato senza possibilità di ritorno. Siccome per sua immensa sfortuna l'unico settimo di un settimo in circolazione è Septimus, sarà lui a ritrovarsi imprigionato nella sua stessa Città, ma in un'epoca completamente diversa.
Come sempre Angie Sage riesce a farmi amare i suoi romanzi con la sua simpatia e le sue trovate strampalate; inoltre mi ha fatto davvero morire dal ridere leggere i capitoli scritti nella Lingua Antica che, almeno nella traduzione italiana, altro non è che una buffa versione dell'italiano antico, imperciocchè ciascun personaggio s'esprime con codesto tono aulico ed alquanto vetusto.
Purtroppo la mia amata Marcia non si vede tanto: compare solo in alcuni capitoli all'inizio e alla fine (anche se la sua presenza in questi momenti si sente eccome) perchè rimane nel suo Tempo a cercare un modo per far tornare a casa Septimus e non lo segue, come invece fanno gli altri tre matti. C'è invece un leggero cambio di tono in questo libro rispetto alla spensieratezza dei precedenti perchè vi è il primo lutto della saga: Alice Nettels, la Capo Doganiere del porto, viene uccisa dalla Regina Etheldredda, salvando così la vita a Jenna. Il momento è triste, però sappiamo per lo meno che a) la rivedremo quasi sicuramente perchè la città è piena di fantasmi, b) finalmente potrà passare l'eternità accanto al suo amato Alther. In ogni caso, adesso ci sono da salvare Nicko e Snorri!!
Il conte di Montecristo
sfide: bersaglio, francofonia, incrociata, mattonazzi, salva-comodino
Titolo originale: Le Comte de Monte-Cristo
Autore: Alexandre Dumas (padre)
Anno di pubblicazione: 2006
Editore: Bur
Pagine: 914
Iniziato il: 03 ottobre 2011
Terminato il: 17 ottobre 2011
Valutazione: ★★★★★
Infine, c'è la figura controversa del conte di Montecristo, che non è possibile assegnare nè alla parte dei "buoni", nè alla parte dei "cattivi": la sua vendetta è contemporaneamente immensamente giusta e immensamente sbagliata e il suo modo di fare è equivoco, a volte ammirevole, altre subdolo. Insomma, è uno di quei personaggi che non si dimenticano.
TAPPE
Prima tappa: cap. 1-12
Seconda tappa: cap. 13-23
Terza tappa: cap. 24-34
Quarta tappa: cap. 35-45
Quinta tappa: cap. 46-57
Sesta tappa: cap. 58-71
Settima tappa: cap. 72-81
Ottava tappa: cap. 82-94
Nona tappa: cap. 95-108
Decima tappa: cap. 109-118
Titolo originale: Le Comte de Monte-Cristo
Autore: Alexandre Dumas (padre)
Anno di pubblicazione: 2006
Editore: Bur
Pagine: 914
Iniziato il: 03 ottobre 2011
Terminato il: 17 ottobre 2011
Valutazione: ★★★★★
Il 24 febbraio 1815 la vedetta della Madonna della Guardia dette il segnale della nave a tre alberi il Faraone, che veniva da Smirne, Trieste e Napoli.Mamma mia, come commentare in breve questo romanzo meraviglioso ed emozionante? Probabilmente basterebbe leggere l'introduzione all'edizione BUR di Umberto Eco, quindi è meglio che io mi faccia piccola piccola e stia zitta, dato che dovrei paragonarmi a lui. Così forse salvo la faccia se invece di parlare della storia, dato che l'ho già fatto in abbondanza nelle tappe del gdl (i link sono qui sotto), parlo del suo commento, e del fatto di essere felicissima di non essere un critico letterario per poter godere di tutto il fascino di questa avventura incredibile che parla di vendetta, di giustizia, di perdono, di amore, di vita e di morte. Perchè è vero, e leggendo il commento di Eco me ne sono resa conto: il romanzo ha dei difetti tecnici e stilistici, dovuti sia al fatto che Dumas percepiva un tot. di franchi a riga, e di conseguenza doveva allungare, sia alla pubblicazione a puntate del romanzo, che richiedeva di riportare alla memoria del lettore ciò che era avvenuto precedentemente; le pagine sono quindi piene di ridondanze, di "immagini tipo" che tendevano a ripetersi, di dialoghi inconcludenti, in cui i personaggi perdono due pagine a parlare per poi non dirsi nulla. Però è altrettanto vero, sempre come detto dal buon Umberto, che questo allentamento del ritmo narrativo fa crescere nel lettore una specie di frenesia, che addirittura porta a schizzare avanti con lo sguardo per sapere cosa succede. E io ne sono stata presa in pieno, tanto che ho letto le ultime due parti in cui avevamo diviso il romanzo tutte d'un fiato, come fossero state una sola.
Com'è d'uso, un pilota costiere partì subito dal porto, passò vicino al Castello d'If e salì a bordo del naviglio fra il capo di Morgiou e l'isola di Rion.
Contemporaneamente com'è ugualmente d'uso, la piattaforma del forte San Giovanni si
ricoprì di curiosi, poiché è sempre un avvenimento di grande interesse a Marsiglia l'arrivo di qualche bastimento, in particolare poi quando questo legno, come il Faraone, si sapeva costruito, arredato e stivato nei cantieri della vecchia Phocée e appartenente ad un armatore della città.
(incipit)
Infine, c'è la figura controversa del conte di Montecristo, che non è possibile assegnare nè alla parte dei "buoni", nè alla parte dei "cattivi": la sua vendetta è contemporaneamente immensamente giusta e immensamente sbagliata e il suo modo di fare è equivoco, a volte ammirevole, altre subdolo. Insomma, è uno di quei personaggi che non si dimenticano.
TAPPE
Prima tappa: cap. 1-12
Seconda tappa: cap. 13-23
Terza tappa: cap. 24-34
Quarta tappa: cap. 35-45
Quinta tappa: cap. 46-57
Sesta tappa: cap. 58-71
Settima tappa: cap. 72-81
Ottava tappa: cap. 82-94
Nona tappa: cap. 95-108
Decima tappa: cap. 109-118
GDL - Il conte di Montecristo. Nona e decima tappa
**SPOILER-POST!**
Date tappa: 21/11 - 11/12
Capitoli: 82-118
Discussione su anobii
Ed eccomi infine giunta all'ultima tappa. Si, perchè non sono riuscita a resistere e ho letto in un fiato le ultime 150 pagine rimaste.
Tragico, davvero. Meraviglioso e tragico: avevo la sensazione che Edmondo stesse andando troppo oltre e che mancasse poco perchè perdesse il controllo degli eventi, e così è stato; perchè nonostante l'apparenza, Edmondo è umano, e in quanto tale non è in grado di prevedere ogni cosa, anche se si sente inviato da Dio e dalla Provvidenza per punire i colpevoli. In realtà, quindi, la vendetta di Edmondo provoca molte vittime innocenti: prima Mercedes e Alberto, che dopo la vergogna piombata su Fernando e il suo suicidio lasciano tutto, compreso il nome Morcerf, e infine Edoardo, che pur essendo insopportabile e viziato, era comunque solo un bambino, sul quale non dovevano ricadere le colpe dei genitori. Quando finalmente Montecristo si rende conto di tutto ciò, egli vuole reagire a questo rimorso e vuole far svanire il dubbio che si è insinuato in lui di aver percorso la strada sbagliata: decide così di visitare la sua vecchia prigione, che ormai è diventata una specie di museo. Queste pagine sono molto commuoventi: Edmondo ripercorre passo dopo passo tutta l'esperienza della prigionia e alla fine riemerge dalla segreta del Castello d'If con la consapevolezza di aver agito nel giusto. Nonostante questo, Edmondo è davvero cambiato nel profondo e al bisogno di vendetta si è probabilmente sostituito un bisogno di pace per la sua anima, tanto che dopo aver raggiunto il suo ultimo nemico, Danglars, decide di non ucciderlo ma di perdonarlo.
Infine, una sola consolazione rimane a Dantès, ovvero l'essere riuscito a riunire Massimilano e Valentina e a donare almeno a loro la felicità. Le parole che Edmondo scrive a Morrel prima di partire per sempre con Haydee mostrano perfettamente che Dantès non sarà probabilmente mai più a posto con la propria coscienza: "Dite all'angelo che veglierà sulla vostra vita, Morrel, di pregare qualche volta per un uomo che, simile a Satana, per un momento si è creduto simile a Dio e ha riconosciuto, con tutta l'umiltà di un cristiano, che nelle mani di Dio soltanto sta il supremo potere e la infinita sapienza".
Montecristo impallidì a quell'orribile spettacolo, comprese che aveva oltrepassato i limiti della vendetta, comprese che non poteva più dire: "Dio è per me e con me". Si gettò con un sentimento d'angoscia inesprimibile sul corpo del bimbo, gli riaprì gli occhi, gli toccò il polso, e si lanciò con lui nella camera di Valentina, che chiuse a doppio giro.
«Gran città!» mormorò, chinando la testa e congiungendo le mani come pregando. «Non sono ancora sei mesi che ho oltrepassato le tue porte. Lo spirito della Provvidenza che credevo mi vi avesse condotto, ora me ne allontana trionfante. Il segreto della mia presenza fra le tue mura l'ho confidato soltanto a Dio, che solo ha potuto leggere nel mio cuore, solo sa che mi ritiro senza odio, né orgoglio, ma non senza dispiaceri, solo sa che non ho fatto uso né per me, né per vane cause, del potere di cui mi ha fornito. Oh gran città! Nel tuo seno palpitante ritrovai ciò che cercavo, minatore paziente, ho rimescolato le tue viscere per farne sortire il male, ora la mia opera è compiuta, quella che ho creduto mia missione è terminata, ora tu non puoi più offrirmi né gioie, né dolori: addio, Parigi! addio!»
«Sono quello che avete venduto, denunziato, disonorato; sono quello di cui avete prostituita la fidanzata; sono quello che avete calpestato per formare la vostra fortuna; sono quello al quale avete fatto morire il padre di fame... Vi avevo condannato a morire di fame, e invece vi perdono, perchè pure io ho bisogno di perdono: sono Edmondo Dantès!»
GDL - Il conte di Montecristo. Ottava tappa
**SPOILER-POST!**
Date tappa: 21/11 - 27/11
Capitoli: 82-94
Discussione su anobii
Proseguo a tutta birra, travolta dagli eventi che ormai hanno formato una catena senza fine: uno tira l'altro, è come un fiume in piena, la cui corrente trascina i personaggi e le vicende senza più possibilità di fuga. L'unico che ha ancora il potere di allungare un ramo e portare qualcuno sulla riva è Edmondo, ma anche sotto di lui piano piano manca il terreno e tra poco si troverà a non poter fare più nulla per arrestare quel meccanismo che ha messo in moto.
In questi capitoli si completa la vendetta su due dei nemici di Edmondo: Calderousse, che spira dopo essere stato pugnalato a morte da Benedetto, e Fernando, che si suicida dopo che tutti i suoi tradimenti sono stati scoperti e la moglie e il figlio l'hanno abbandonato. Ad entrambi, Edmondo si rivela e i due momenti della verità sono talmente pieni di phatos da far venire la pelle d'oca. Inoltre, è finalmente arrivato il momento in cui Mercedes dichiara al conte di Montecristo di aver riconosciuto in lui Edmondo Dantés e il dialogo tra i due è davvero molto intenso, soprattutto perchè Edmondo le rivela la verità sul complotto (di cui le fornisce le prove) e su ciò che gli è accaduto nel periodo della prigionia. Immensamente commuovente il momento in cui Mercedes prega Edmondo di risparmiare suo figlio che, convinto dell'innocenza del padre, l'ha sfidato a duello per difenderne l'onore; Edmondo è pronto a farsi uccidere dal giovane, ma l'intervento di Mercedes riesce a sventare il duello e a far si che Alberto e il conte di Montecristo si separino da amici.
Veniamo infine aggiornati sui progressi degli avvelenamenti a casa Villefort: l'ultima vittima è Valentina. Fortunatamente per lei Noirtier, che è paralitico ma non stupido, aveva previsto questo nuovo avvelenamento e aveva iniziato a somministrare alla nipote una quantità di veleno sempre maggiore per abituare il corpo della ragazza; in questo modo, l'attacco dovuto ad un'improvvisa dose molto alta somministratale dalla matrigna non è stato mortale. Inoltre, ovviamente, la ragazza è automaticamente esclusa dai sospetti, e si spera quindi che presto la signora Villefort venga colta sul fatto e sbattuta in galera.
«Uno!» disse misteriosamente il conte, con gli occhi fissi sul cadavere già sfigurato per questa morte terribile.
«Mercedes!» ripetè Montecristo «Mercedes! Ebbene, si, voi avete ragione, questo nome è dolce ancora da pronunciare, ed ecco la prima volta, dopo lunghi anni, che risuona chiaro sulle mie labbra. Ah, Mercedes! Il vostro nome io l'ho pronunciato coi sospiri della malinconia, coi gemiti del dolore, colla rabbia della disperazione; l'ho pronunciato gelido per il freddo, attrappito sulla paglia della mia cella; l'ho pronunciato divorato dal caldo, l'ho pronunciato rotolandomi sul pavimento del carcere. Mercedes, bisogna che io mi vendichi, perchè ho sofferto per quattordici anni: per quattordici anni ho pianto, ho maledetto. Ora, io ve lo ripeto, Mercedes, bisogna che io mi vendichi!»
GDL - Il conte di Montecristo. Settima tappa
**SPOILER-POST!**
Date tappa: 14/11 - 20/11
Capitoli: 72-81
Discussione su anobii
Posto un aggiornamento di seguito all'altro perchè in realtà questa parte, quella precedente e quella successiva, le ho lette quasi tutte d'un fiato. Siccome però voglio mantenere un minimo d'ordine, tento lo stesso di commentare in post differenti.
Le cose si complicano sempre di più e ormai il ritmo è davvero frenetico: la preparazione della fuga di Massimiliano Morrel e Valentina che viene mandata a monte dalla morte della signora di Saint-Meran (e a me è venuto il dubbio per la seconda volta che ci fosse di mezzo la signora Villefort) che però fa promettere al signor Villefort che il matrimonio con d'Epinay avvenga lo stesso e avvenga velocemente, l'annullamento del matrimonio grazie all'intervento decisivo di nonno Noirtier, che pur nella sua paralisi riesce a salvare la nipote e che poi viene risparmiato dalla morte per un colpo di fortuna che determina però la morte del suo servitore (la Villefort li sta accoppando tutti, la prossima sarebbe stata sicuramente Valentina - che per il momento, poveretta, è addirittura sospettata degli omicidi -, così il figlio avrebbe avuto tutta l'eredità), i destini di Andrea Cavalcanti che si intrecciano con quelli di Danglars (ovviamente a pieno svantaggio di quest'ultimo che mi sa proprio si ritroverà a far sposare sua figlia con un nullatenente e per di più delinquente) e quello di Alberto de Morcerf, figlio di Fernando e Mercedes, a quello di Haydee, la schiava greca di Montecristo, la quale scopriamo essere la figlia del Pascià di Giannina, morto per colpa del tradimento di Fernando. Infine, tanto per non farci mancare nulla, torna sulla scena Calderousse che nel tentativo di rubare in casa di Dantes, finisce per essere colpito a morte da Benedetto.
Insomma, un casino, e io in tutti questi intrecci continuo a rimanere con il fiato sospeso e una curiosità che mi divora e mi spinge ad andare avanti sempre più velocemente perchè voglio sapere cosa succede!!
"Ascoltatemi, mia adorata Valentina [...], le persone come noi, che non hanno mai avuto un pensiero di cui abbiano ad arrossire davanti al mondo, davanti ai parenti, e a Dio, possono leggere nel cuore l'uno dell'altro apertamente. Io non ho mai fatto il romantico, non sono un eroe malinconico, non rappresento nè un Manfredi, nè un Antony; ma senza parole, senza proteste, senza giuramenti, ho messo la vita in voi, voi mi venite meno, ed avete ragione di agire così, ve l'ho detto, ve lo ripeto, ma infine voi mi tradite, e la mia vita è perduta. Dal momento che vi allontanate da me, Valentina, io resto solo al mondo."
GDL - Il conte di Montecristo. Sesta tappa
**SPOILER-POST!**
Date tappa: 07/11 - 13/11
Capitoli: 58-71
Discussione su anobii
Non riesco più a fermarmi nella lettura! Ormai siamo nel cuore delle vicende e sta accadendo davvero di tutto. Ma andiamo con ordine: abbiamo lasciato Valentina, disperata perchè non sa più come fare ad annullare il matrimonio con Franz d'Epinay, affidarsi al nonno, il quale fa giungere un notaio e disereda la nipote nel caso in cui venisse data in moglie al barone. Nel frattempo, il conte di Montecristo si dà il suo bel daffare per compiere la sua vendetta nei confronti di Danglars e Villefort e così inizia, da una parte, a minare le risorse economiche del banchiere e la sua stabilità familiare, dall'altra sconvolge Villefort invitandolo a pranzo nella villa nella quale egli aveva fatto sparire il figlio nato dalla relazione con la signora Danglars. Quest'uomo è troppo intelligente: è incredibile come riesca ad orchestrare alla perfezione la sua vendetta, facendo un passetto alla volta, insinuando il seme del dubbio nelle sue "vittime" (e lo metto tra virgolette perchè, ovviamente, la vittima è sempre e comunuque lui).
Inaspettatamente, nei capitoli successivi a questo pranzo, torna a farci visita un personaggio che immaginavo prima o poi sarebbe ricomparso, ma non certo in questo modo: Caderousse, il quale è sempre più avido, viscido e schifoso. Scopriamo quindi che l'ex sarto conosce Benedetto (alias Andrea Cavalcanti) in quanto vecchi compagni di carcere e probabilmente di crimini successivi alla loro uscita dalla prigione, e sta cercando di sfruttare la sua posizione per ricattare il ragazzo ed ottenere dei vantaggi. Ovviamente Benedetto non mi fa nessuna pena e spero che anche lui paghi per le crudeltà commesse, anche se non direttamente nei confronti di Edmondo, però mi ha fatto proprio schifo l'immagine di quest'uomo subdolo che non si accontenta mai, che vuole sempre di più e che è disposto a tutto ed è pronto a commettere ogni genere di vigliaccheria per ottenere ciò che vuole.
Infine, tanto perchè non bastano le disgrazie, questa sesta parte si chiude con la notizia della morte del signor di Saint-Méran, ovvero nonno materno di Valentina e padre quindi della signorina di Saint-Méran, prima moglie di Villefort.
Il castello di Otranto
sfide: generi letterari
Titolo originale: The Castle of Otranto
Autore: Horace Walpole
Anno di pubblicazione: 1983
Editore: Theoria
Pagine: 155
Iniziato il: 11 ottobre 2011
Terminato il: 12 ottobre 2011
Valutazione: ★★★
Nonostante non sia stata una lettura molto appassionante (fortunatamente è brevissimo), sono contenta di averlo letto, perchè in quanto accanita lettrice di romanzi fantasy, non potevo non conoscere l'autore che ha dato il via alla moderna letteratura fantastica.
Titolo originale: The Castle of Otranto
Autore: Horace Walpole
Anno di pubblicazione: 1983
Editore: Theoria
Pagine: 155
Iniziato il: 11 ottobre 2011
Terminato il: 12 ottobre 2011
Valutazione: ★★★
Manfred, principe di Otranto, aveva un figlio e una figlia: quest'ultima, una bellissima giovanetta di diciotto anni, si chiamava Matilda. Conrad, il figlio, di tre anni più giovane, era bruttino e malaticcio, di carattere nient'affatto promettente; eppure era il prediletto del padre, che non mostrava mai nessun segno di affetto per Matilda.Il castello di Otranto è, come si legge nell'indispensabile introduzione senza la quale sarei arrivata alla fine del libro senza capire il motivo per cui venga considerato un classico della letteratura fantastica, non solo il capostipite del genere gotico, ma addirittura la prima opera in cui l'autore mescola gli elementi fantasiosi e sovrannaturali tipici della letteratura pre-romanzo alle caratteristiche di adesione alla realtà, invece tipiche del romanzo. Nel castello di Otranto, Walpole attribuisce ai personaggi le parole e i comportamenti con cui qualsiasi persona reale reagirebbe al manifestarsi di elementi sovrannaturali (quindi da una parte l'incredulità e lo scetticismo, dall'altra la paura e l'incomprensione), anche se, ovviamente, secondo i canoni del '700. Vedendolo da questo punto di vista, si capisce come Il castello di Otranto sia davvero un'innovazione, e si possono accantonare tutti i suoi limiti che dipendono, prima di tutto, dal fatto che oggi abbiamo dei canoni di "horror" e "suspance" che sono ben diversi da quelli del '700. In secondo luogo la caratterizzazione dei personaggi non è esattamente approfondita e l'unico che ha un minimo di evoluzione psicologica è Manfred, anche se tutto ciò si riduce ad un continuo cambio di emozioni, dall'ira alla pena, al timore. Gli elementi tipici del genere, avendoli inventati lui, ovviamente ci sono tutti: l'amore contrastato e perduto, i conflitti interiori, il paranormale e, infine, l'ambientazione in un castello cupo ed inquietante, pieno di scale, passaggi segreti e innumerevoli stanze.
(incipit)
Nonostante non sia stata una lettura molto appassionante (fortunatamente è brevissimo), sono contenta di averlo letto, perchè in quanto accanita lettrice di romanzi fantasy, non potevo non conoscere l'autore che ha dato il via alla moderna letteratura fantastica.
Egli vide il figlio fatto a pezzi e quasi sepolto sotto un enorme elmo, cento volte più grande di qualsiasi elmo foggiato per un essere umano, ricoperto di una adeguata quantità di piume nere. L'orrore dello spettacolo, l'ignoranza di tutti, lì intorno, su come fosse capitata questa disgrazia e soprattutto il prodigio tremendo che gli si presentava lasciò il principe senza parole.
La porta era socchiusa; la sera cupa e nuvolosa. Aprendo pian piano la porta, vide qualcuno inginocchiato davanti all'altare. Quando si avvicinò, non gli sembrò una donna, ma una persona vestita di una lunga tunica di lana, che gli dava le spalle e pareva assorta nella preghiera. Il marchese stava per tornare indietro, quando l'altro si alzò e si soffermò qualche momento, immerso in profonda meditazione, senza guardarlo. Il marchese, pensando che quella figura devota gli stesse venendo incontro, volle scusarsi per averla scortesemente interrotta, e disse: - Reverendo padre, cercavo donna Hippolita. -Hippolita!- replicò con voce profonda. - Vieni dunque in questo castello per cercare Hippolita? E girandosi lentamente, la figura svelò a Frederic la bocca rinsecchita e le orbite vuote di uno scheletro, avvolto in una tonaca da eremita.
GDL - Il conte di Montecristo. Quinta tappa
**SPOILER-POST!**
Date tappa: 31/10 - 06/11
Capitoli: 46-57
Discussione su anobii
Non ci capisco più niente: Villefort doveva essere morto, ma non lo è (chi sarà allora ad essere stato ucciso da Bertuccio? O magari era lui, ma l'hanno salvato), adesso compaiono due attori che devono fingersi padre e figlio e inserirsi nella buona società di Parigi... ma perchè? chi sono? Sto iniziando davvero a fare confusione! Inoltre iniziano ad esserci un pò troppi personaggi in ballo e mi è già capitato un paio di volte di trovare un nome dato per conosciuto e pensare: "e questo chi è?" e dover andare indietro con le pagine per riuscire a ricordarmi dove era già comparso. Tra un po' mi sa che mi toccherà appuntarmi i nomi delle varie famiglie perchè tra figli, genitori, nipoti e fidanzate sto mescolando tutto: mi ritroverò a fare come con Cent'anni di solitudine, dove se non disegni l'albero genealogico dei Buendìa a mano a mano che leggi ti perdi tra le generazioni ed è la fine. A parte questi piccoli inconvenienti, devo dire che la lettura procede ad una velocità stupefacente: divoro pagine su pagine, sempre più curiosa di sbrogliare la matassa che invece più vado avanti, più si ingarbuglia. Finalmente inizia a svelarsi piano piano anche il mistero della greca che accompagna Edmondo, il cui padre ha una certa importanza nelle vicende, anche se ancora non sappiamo chi sia.
In questi capitoli Dumas ci ha accompagnato a scoprire la famiglia di Villefort che, fortunatamente, non è composta solo di individui abietti come lui: la figlia Valentina, infatti, e il padre (che abbiamo già conosciuto), sono quelli che si salvano, anche se purtroppo, come sembra di regola in questo romanzo, sono anche gli unici che soffrono; Valentina, infatti, è segretamente innamorata di Massimiliano Morrel ma promessa sposa di Franz d'Epinay, mentre il povero Noirtier è costretto da una paralisi su una sedia a rotelle e il suo unico modo di comunicare è il movimento degli occhi. Fortunatamente, però, sembra che le risorse del vecchio non si siano esaurite con la malattia, e nell'ultimo capitolo si apprestava a compiere, tramite il suo notaio, qualche azione che potrebbe forse cambiare il futuro di Valentina.
GDL - Il conte di Montecristo. Quarta tappa
**SPOILER-POST!**
Date tappa: 24.10/30.10
Capitoli: 35-45
Discussione su anobii
In questi capitoli conosciamo meglio il "nuovo" Edmondo, ovvero colui che si fa conoscere come conte di Montecristo. Se devo dire la verità, non mi piace per niente il nuovo personaggio che si è costruito intorno e spero vivamente che sia tutta una finzione per raggiungere i suoi scopi, altrimenti significa che le nuove ricchezze gli hanno dato alla testa e l'hanno reso spocchioso; mi riferisco non tanto a come si comporta con gli altri ricchi (quello è giustificabile proprio con il suo tentativo di rendere credibile la figura del conte), quanto con i suoi servitori. Ad esempio, non mi è piaciuto il modo in cui tratta Bertuccio, che lo accompagna terrorizzato nella sua nuova casa ad Auteuil, ma soprattutto per come tratta Alì.
Finalmente veniamo a capire come mai Edmondo abbia avvicinato proprio Franz d'Epinay e Alberto de Morcerf: il secondo è nientepopòdimenoche... il figlio di Mercedes!! Mi è piaciuta tanto la scena in cui finalmente la rivede, dopo circa vent'anni; ovviamente non si fa riconoscere, ma si percepisce la sua emozione nascosta dietro la fredda maschera che si è costruito e Mercedes intuisce qualcosa, tanto da sbiancare quando se lo trova di fronte e da riempire il figlio di domande sull'età del conte e sul suo passato. Non vedo l'ora che arrivi (sperando che arrivi) il momento in cui si riabbracceranno. C'è anche un'altra persona, molto meno gradita, che Edmondo riesce finalmente ad avvicinare in questi capitoli: Danglars. Anche con lui, Edmondo mantiene l'anonimato, anche se si concede la soddisfazione di dargli un paio di stoccate durante la loro conversazione che fanno capire immediatamente al banchiere che ha a che fare con un osso duro. Infine scopriamo anche cosa è accaduto all'ultimo personaggio mancante nel quadro: Villefort, che sembra aver avuto quello che meritava essendo stato ucciso proprio da Bertuccio, l'intendente di Edmondo (che, naturalmente, l'ha assunto proprio per quel motivo).
Ho trovato molto divertente il capitolo del rapimento di Alberto a Roma (a questo punto immagino che sia stato tutto pianificato ad hoc da Edmondo e Vampa per far si che Alberto si sentisse in debito e lo invitasse a Parigi) - soprattutto per la reazione del rapito e per il fatto che lui e Luigi Vampa parlavano tra loro come se fossero due gentiluomini che, invece di trovarsi insieme in una catacomba, si sono incontrati ad un ricevimento e fanno tranquillamente conversazione - e incredibile la descrizione del carnevale a Roma; Dumas riesce veramente a trasportarmi in altri tempi e in altri luoghi. Al contrario mi ha stupito il racconto del crimine commesso da Calderousse: è vero che era avido e vigliacco, ma non mi sarei mai aspettata che sarebbe stato capace di uccidere il gioielliere per recuperare il diamante dopo aver incassato il denaro della vendita. Spero che abbia quello che si merita.
«Guardate, guardate...» disse il conte, afferrando ciascuno dei dei due giovani per la mano, «guardate, perchè, sull'anima mia, è una cosa curiosa: ecco un uomo che era rassegnato alla sua sorte, che camminava al patibolo, che andava a morire come un vile, è vero, ma pure andava a morire senza resistenza e senza recriminazione. Sapete ciò che gli dava qualche forza? Sapete ciò che lo consolava? Sapete ciò che gli faceva prendere il supplizio con pazienza? Era un altro che divideva le angosce, un altro che moriva come lui, un altro che moriva prima di lui. [...] l'uomo, a cui Iddio ha imposto per prima, per unica, per suprema legge l'amore del prossimo, l'uomo a cui Iddio ha dato la parola per esprimere il pensiero, ora vedetelo qui con i vostri propri occhi, che va sulle furie perchè va a morir solo, perchè sa che il compagno è salvo.In verità, non me lo sarei mai aspettato! Ecco là, non più terrore, non più rassegnazione; oh, disgraziata creatura, quanto lacrimevole è la tua sorte.»
In dieci minuti, quarantamila lumi scintillarono, discendenti da piazza Venezia a piazza del Popolo, e risalenti da quella del Popolo a quella di Venezia. Si sarebbe detta la festa dei fuochi fatui. Chi non ha veduto questa festa, è impossibile che se ne possa formare un'idea. Supponete che tutte le stelle si stacchino dal cielo, e vengano a formare sulla terra una danza insensata, il tutto accompagnato da grida che orecchio umano non ha mai potuto sentire sulla superficie del globo. E' particolarmente in questo momento che non c'è più distinzione sociale. Il facchino attacca il principe, questi il trasteverino, il trasteverino il borghese, ciascuno soffiando, spegnendo, riaccendendo.
Chocolat
sfide: a tema, alfabeto
Titolo originale: Chocolat
Autore: Joanne Harris
Anno di pubblicazione: 1999
Editore: Garzanti
Pagine: 338
Iniziato il: 06 ottobre 2011
Terminato il: 09 ottobre 2011
Valutazione: ★★★★
L'arrivo di Vianne Rocher e di sua figlia Anouk, sconvolge la vita di Lansquenet-sous-Tannes, un piccolo paesino di provincia adagiato in riva ad un fiume. Gli abitanti assistono prima con sospetto, poi con crescente curiosità all'apertura de La Céleste Praline, una piccola cioccolateria luminosa, le cui vetrine sono decorate con sculture di zucchero, carta increspata e nastri dorati, e che sembra quasi fuori luogo nella piazza del paese, proprio di fronte all'austera chiesa. Vianne, per di più, è completamente diversa da ogni altro abitante di Lansquenet: non ha un marito (e non è vedova), non va in Chiesa, veste con abiti colorati ed ha un modo di fare espansivo e accogliente, che lentamente riesce ad attrarre e conquistare i sospettosi compaesani. Non tutti, però, sono felici del suo arrivo, per primo il prete del luogo, Francis Reynaud, che vede in lei una cattiva influenza per il suo gregge, a suo dire già abbastanza disperso.
Avevo visto anni fa il film con Juliette Binoche e Johnny Depp e mi ricordo che mi era piaciuto tantissimo, soprattutto per l'atmosfera calda e accogliente che contrastava con il freddo del paese e dei suoi abitanti, e che si respira anche tra le pagine del libro, il quale secondo me risulta più cupo in molti punti. La storia è prevalentemente narrata dal punto di vista di Vianne, anche se quà e là incontriamo alcuni capitoli nei quali la voce narrante è quella di Reynaud. Il contrasto tra i due narratori è lampante: le parti del romanzo viste con gli occhi di Vianne sono calde e profumate, e anche quando traspare una nota di tristezza e di malinconia, questa è sempre colorata dall'energia e dall'amore che la donna emana ad ogni passo. Al contrario le parti narrate dal curato sono come l'interno della sua chiesa: buie, fredde e pervase di diffidenza e di rancore, oltre che da un cieco bigottismo.
Moltissimi sono i personaggi le cui vite si intrecciano con quella di Vianne, ciascuno con un ruolo ben definito all'interno del racconto e che si dividono tra coloro che si affezionano alla donna e alla sua chocolaterie e coloro che invece continuano a vederla con cieca diffidenza e a tramare per liberarsi di lei. La mia preferita, fin dalla sua prima apparizione, è stata Armande: è fantastica perchè intelligente, acuta, senza peli sulla lingua e che non si fa prendere in giro da nessuno. Anche Joséphine è un personaggio a cui è impossibile non affezionarsi, ed è quella che compie l'evoluzione psicologica più importante. In generale, non c'è personaggio che sia uguale a sé stesso dall'inizio alla fine del romanzo e questo è uno degli aspetti a cui faccio sempre molta attenzione non amando particolarmente le figure statiche; ciascuno degli abitanti di Lansquenet subisce un cambiamento, piccolo o grande che sia, grazie alla vicinanza di Vianne; e Vianne stessa, per la prima volta, subisce anche lei dei grandi cambiamenti. Per quanto riguarda la storia d'amore, che nel film prende una buona parte della trama, nel libro praticamente non esiste (Vianne e Roux passano una notte d'amore, dalla quale lei si ritroverà incinta, ma al termine del racconto si fa accenno al fatto che Roux è innamorato di Joséphine) mentre viene dedicato uno spazio molto maggiore ai rapporti tra Vianne e i suoi compaesani e alla "lotta" con Reynaud, che rappresenta il bigottismo e l'ipocrisia tipici di certi ambienti di Chiesa (di gente così ne si trova in tutte le parrocchie, fortunatamente non sempre sono preti).
Nel complesso, un libro estremamente piacevole, intenso e che si lascia gustare come gli squisiti cioccolatini de La Celeste Praline.
Titolo originale: Chocolat
Autore: Joanne Harris
Anno di pubblicazione: 1999
Editore: Garzanti
Pagine: 338
Iniziato il: 06 ottobre 2011
Terminato il: 09 ottobre 2011
Valutazione: ★★★★
Siamo arrivate con il vento del carnevale. Un vento tiepido per febbraio, carico degli odori caldi delle frittelle sfrigolanti, delle salsicce e delle cialde friabili e dolci cotte alla piastra proprio sul bordo della strada, con i coriandoli che scivolano simili a nevischio da colletti e polsini e finiscono sul marciapiede come inutile antidoto contro l'inverno. C'è un'eccitazione febbrile nella folla disposta lungo la stretta via principale, i colli che si allungavano per vedere il carro fasciato di carta crespata, con i suoi nastri svolazzanti e le coccarde di cartoncino.Incantevole. Non potrei usare altra parola per descrivere questo romanzo nel quale cioccolato, magia e amore creano una combinazione che riscalda il cuore. E non solo dei lettori.
(incipit)
L'arrivo di Vianne Rocher e di sua figlia Anouk, sconvolge la vita di Lansquenet-sous-Tannes, un piccolo paesino di provincia adagiato in riva ad un fiume. Gli abitanti assistono prima con sospetto, poi con crescente curiosità all'apertura de La Céleste Praline, una piccola cioccolateria luminosa, le cui vetrine sono decorate con sculture di zucchero, carta increspata e nastri dorati, e che sembra quasi fuori luogo nella piazza del paese, proprio di fronte all'austera chiesa. Vianne, per di più, è completamente diversa da ogni altro abitante di Lansquenet: non ha un marito (e non è vedova), non va in Chiesa, veste con abiti colorati ed ha un modo di fare espansivo e accogliente, che lentamente riesce ad attrarre e conquistare i sospettosi compaesani. Non tutti, però, sono felici del suo arrivo, per primo il prete del luogo, Francis Reynaud, che vede in lei una cattiva influenza per il suo gregge, a suo dire già abbastanza disperso.
Avevo visto anni fa il film con Juliette Binoche e Johnny Depp e mi ricordo che mi era piaciuto tantissimo, soprattutto per l'atmosfera calda e accogliente che contrastava con il freddo del paese e dei suoi abitanti, e che si respira anche tra le pagine del libro, il quale secondo me risulta più cupo in molti punti. La storia è prevalentemente narrata dal punto di vista di Vianne, anche se quà e là incontriamo alcuni capitoli nei quali la voce narrante è quella di Reynaud. Il contrasto tra i due narratori è lampante: le parti del romanzo viste con gli occhi di Vianne sono calde e profumate, e anche quando traspare una nota di tristezza e di malinconia, questa è sempre colorata dall'energia e dall'amore che la donna emana ad ogni passo. Al contrario le parti narrate dal curato sono come l'interno della sua chiesa: buie, fredde e pervase di diffidenza e di rancore, oltre che da un cieco bigottismo.
Moltissimi sono i personaggi le cui vite si intrecciano con quella di Vianne, ciascuno con un ruolo ben definito all'interno del racconto e che si dividono tra coloro che si affezionano alla donna e alla sua chocolaterie e coloro che invece continuano a vederla con cieca diffidenza e a tramare per liberarsi di lei. La mia preferita, fin dalla sua prima apparizione, è stata Armande: è fantastica perchè intelligente, acuta, senza peli sulla lingua e che non si fa prendere in giro da nessuno. Anche Joséphine è un personaggio a cui è impossibile non affezionarsi, ed è quella che compie l'evoluzione psicologica più importante. In generale, non c'è personaggio che sia uguale a sé stesso dall'inizio alla fine del romanzo e questo è uno degli aspetti a cui faccio sempre molta attenzione non amando particolarmente le figure statiche; ciascuno degli abitanti di Lansquenet subisce un cambiamento, piccolo o grande che sia, grazie alla vicinanza di Vianne; e Vianne stessa, per la prima volta, subisce anche lei dei grandi cambiamenti. Per quanto riguarda la storia d'amore, che nel film prende una buona parte della trama, nel libro praticamente non esiste (Vianne e Roux passano una notte d'amore, dalla quale lei si ritroverà incinta, ma al termine del racconto si fa accenno al fatto che Roux è innamorato di Joséphine) mentre viene dedicato uno spazio molto maggiore ai rapporti tra Vianne e i suoi compaesani e alla "lotta" con Reynaud, che rappresenta il bigottismo e l'ipocrisia tipici di certi ambienti di Chiesa (di gente così ne si trova in tutte le parrocchie, fortunatamente non sempre sono preti).
Nel complesso, un libro estremamente piacevole, intenso e che si lascia gustare come gli squisiti cioccolatini de La Celeste Praline.
In questa regione abbagliante la gente è scialba. Il colore è un lusso; non sta bene portarlo. I fiori colorati sul bordo della strada qui sono erbacce, invadenti, inutili.
Reggevamo una candela ciascuna, Anouk soffiava nella sua trombetta-giocattolo mentre io battevo un cucchiaio di metallo in una vecchia padella, e per dieci minuti abbiamo pestato i piedi girando in tondo in ogni stanza, gridando e cantando a squarciagola - Fuori! Fuori! Fuori! - fino a quando i muri non si sono messi a tremare e i fantasmi disturbati non sono scappati [...] Ovviamente, so che è solo un gioco. Incantesimi per consolare una bambina spaventata. Ci sarà del lavoro da fare, lavoro duro, prima che tutto questo diventi realtà. Ma per ora basta sapere che la casa ci dà il benvenuto, come noi la accettiamo con gioia.
«Conosco il vento che vi ha portate», ha detto Armande intensamente. «L'ho sentito. Martedì Grasso, giorno di carnevale. Les Marauds sono pieni di gente del carnevale: zingari, spagnoli, ambulanti, pieds-noirs e indesiderabili. Vi ho riconosciute subito, tu e la tua bambina - e come ti fai chiamare questa volta?»
«Vianne Rocher». Ho sorriso. «E questa è Anouk».
Richiude di nuovo gli occhi, e io comincio a cantare piano:"V'là l'bon vent, v'là l'joli vent,V'là l'bon vent, ma mie m'appelle..."Sperando che questa volta rimanga una ninna-nanna.Che questa volta il vento non senta. Che questa volta... per piacere, solo questa... se ne vada senza di noi.(explicit)
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