L'anno della lepre

sfide: del nord e del freddo
Titolo originale: Jäniksen vuosi
Autore: Arto Paasilinna
Anno di pubblicazione: 1994
Editore: Iperborea
Pagine: 199

Iniziato il: 22 novembre 2011
Terminato il: 24 novembre 2011
Valutazione:★★★★

Sull'automobile viaggiavano due uomini depressi. Il sole al tramonto, battendo sul parabrezza polveroso, infastidiva i loro occhi. Era l'estate di San Giovanni. Lungo la strada sterrata il paesaggio finlandese scorreva sotto il loro sguardo stanco, ma nessuno dei due prestava la minima attenzione alla bellezza della sera.
(incipit)

Trama
Giornalista quarantenne a Helsinki, Vatanen ha raggiunto quel momento dell’esistenza in cui di colpo ci si chiede quel “ma perché” che si è cercato sempre di reprimere, nascondendo a se stessi e agli altri che quel grigiore a cui si è arrivati a furia di rinunciare ai sogni, di accettare compromessi, di rassegnarsi al logoramento delle amicizie, del lavoro, degli amori, quel qualcosa in cui siamo rimasti impigliati e in cui non ci riconosciamo, è in realtà la nostra vita. Una sera, tornando in macchina da un servizio fuori città con un amico fotografo, investe una lepre, che fugge ferita nella campagna. Vatanen scende dall’automobile, la trova, la cura e, sordo ai richiami dell’amico, sparisce con lei nei boschi intorno. Da quel momento inizia il racconto delle svariate, stravaganti, spesso esilaranti peripezie di Vatanen, trasformato in un vagabondo che parte all’avventura, on the road, un wanderer senza fretta e senza meta attraverso la società e la natura, in mezzo alle selvagge foreste del Nord e alle imprevedibili reti della burocrazia, sempre accompagnato dalla sua lepre come irrinunciabile talismano. E la sua divertente e paradossale fuga dal passato diventa un viaggio iniziatico verso la libertà, la scoperta che la vita può essere reinventata ogni momento e che, se la felicità è per natura anarchica e sovversiva, si può anche provare ad avere il coraggio di inseguirla. Un libro-culto nei paesi nordici che ha creato un genere nuovo: il romanzo umoristico-ecologico. (dal retro di copertina)

Commento
Chi non ha mai sognato, almeno una volta nella vita, di avere il coraggio di mollare tutto e sparire? Lasciare il lavoro, la routine noiosa e tutte quelle consuetudini che ci stufano e ci stressano per vivere davvero "alla giornata", senza più pensare al futuro. Vatanen riesce a fare tutto questo e, accompagnato solo dalla sua fedele lepre, inizia un vagabondaggio per tutta la Finlandia alla perenne ricerca della tranquillità. La sopravvivenza non rappresenta un problema: per Vatanen non è difficile trovare impieghi temporanei come taglialegna, vaccaro o manovale che gli permettano di riuscire a mantenersi e soprattutto a conservare la propria libertà. Il problema fondamentale è che in ogni luogo in cui si reca non riesce mai davvero ad evitare che l'invadenza della società rovini tutto, ed è quindi sempre costretto a ripartire. Che sia per colpa di un incendio, dell'alcool, di un morto in un fienile o di un matto che cerca di rubargli la lepre, la conclusione è sempre la stessa: Vatanen prende la sua lepre e se ne va alla ricerca di un nuovo luogo dove vivere la propria libertà.
Il racconto è reso straordinario dalla meravigliosa ironia di Paasilinna, che non esita a gettare una luce divertente, ma contemporaneamente riflessiva, su tutte le situazioni in cui si trova il protagonista, e dalla spettacolare natura finlandese, che non fa solo da cornice al romanzo ma ne è sempre al centro.

A mano a mano che leggo romanzi di Paasilinna mi convinco sempre di più che, pur avendo una parvenza di "autore facile", in quanto il suo stile è scorrevole e le sue storie sembrano leggere, non sia in realtà un autore per tutti; credo che sia uno di quegli scrittori con i quali o si condivide un certo modo di vedere il mondo, o non si andrà mai del tutto d'accordo e che lasceranno sempre a fine lettura un senso di insoddisfazione, un "perchè?" al quale non si riesce a dare una risposta completamente soddisfacente. Per questo non mi sentirei mai di consigliarlo: ce lo si deve trovare tra le mani e sono alla fine si può capire se lo si apprezza oppure no. Io, senza dubbio, lo adoro.
Il giornalista, lepre in braccio, sedeva sul ciglio del fosso. Sembrava una vecchia donna assorta nei suoi pensieri, con il lavoro a maglia abbandonato in grembo. Il rumore dell'auto era svanito. Il sole tramontava.
Al mattino, il levar del sole rivelò un convoglio interamente coperto di nero fango. Una mucca infangata, un uomo infangato, un vitello infangato e una lepre infangata si erano svegliati: la mucca scodellava sterco, il vitello poppava, Vatanen di fumò una sigaretta.

Il castello dei Pirenei

sfide: bersaglio, nord e del freddo, incrociata

Titolo originale: Slottet i Pyreneene
Autore: Jostein Gaarder
Anno di pubblicazione: 2010
Editore: TEA
Pagine: 242

Iniziato il: 17 novembre 2011
Terminato il: 21 novembre 2011
Valutazione:★★★★
Era il 18 gennaio 1990. Un vento fresco, a tratti forte, soffiava da sud, portando con sè nubi cariche di pioggia.
Il viale della stazione di Limhamn era deserto, a parte qualche isolata automobile i cui fari si riflettevano nelle vetrine o sull'asfalto bagnato.
(incipit)

Trama
Il caso, una coincidenza, il destino, la telepatia: difficile spiegare l'incontro fra un uomo e una donna che si rivedono, dopo trent'anni, nello stesso albergo affacciato sul fiordo dove si erano detti addio. Sempre che dare una spiegazione abbia un senso. Solrun e Steinn sono entrambi cinquantenni. Nonostante il passare degli anni e il fatto che oggi siano entrambi sposati e con figli, non hanno mai smesso di pensare l'uno all'altra. Dopo la sorpresa dell'incontro, danno vita a un fitto scambio di e-mail nel quale si raccontano, ripercorrendo l'episodio, inspiegabilmente velato di mistero, che aveva messo la parola fine al loro amore. Per ritrovarsi, come spesso accade, a scrivere due storie diverse della stessa passione condivisa. Chissà però se le due versioni sono davvero così differenti. Nel dialogo a distanza prendono corpo due visioni della vita inconciliabili: lui è un professore di Fisica, ateo e materialista, lei è un'umanista convinta che a governare i nostri destini siano forze superiori. Forse solo il finale del romanzo saprà dare finalmente un senso agli eventi. (dal retro di copertina)

Commento:
Fino alla fine del primo capitolo, devo dire la verità, mi sembrava un libro un po' insulso, fine a sè stesso. Proseguendo però nella lettura sono rimasta come sempre invischiata nei ragionamenti di Gaarder e dal fascino di argomenti sui quali mi pongo domande ogni giorno, da quando sono diventata abbastanza grande per avere un'autocoscienza: Chi sono? Perchè sono qui? Da dove vengono questo mondo e questa realtà che mi circonda? E oltre? Oltre al nostro pianeta e alla nostra galassia c'è vita o siamo soli nell'universo? Cosa accade dopo la morte? Esiste un dio creatore del mondo? Oppure tutto è frutto del caso?

Ovviamente non risponderò qui a queste domande, prima di tutto perchè le risposte non le conosco nemmeno io, secondo perchè sono pensieri talmente privati e profondi che sono abituata a parlare sono con me stessa o con poche persone. In ogni caso per me Gaarder è irresistibile, uno stimolo continuo. La forma epistolare è effettivamente perfetta per fare di questo libro un romanzo e non un saggio e contemporaneamente per presentare due punti di vista contrastanti sulla vita e il suo significato.
Io ti chiedo: che cos'è il mondo, Steinn? Cos'è una persona? E cos'è questa avventura stellare in cui galleggiamo come perle magiche di coscienza, di psiche, di ragione e di spirito?
La nostalgia tra due persone nello stesso letto a volte sa essere più doloresa e intensa di una nostalgia che attraversa i continenti.
Però il gran mistero di cui facciamo parte non ha necessariamente solo un aspetto corporeo o materiale. Forse siamo anche spiriti immortali. Forse è questo il nucleo recondito della nostra personalità. Tutto il resto, le stelle e i labirintodonti , in confronto sono solo orpelli superficiali. Il sole non ha più conoscenza di un rospo, o una galassia più di un pidocchio. Sanno solo consumare il loro tempo.

Il Cerchio Celtico

sfide: mistero, del nord e del freddo

Titolo originale: Den Keltiska Ringen
Autore: Björn Larsson
Anno di pubblicazione: 2000
Editore: Iperborea
Pagine: 409

Iniziato il: 12 novembre 2011
Terminato il: 15 novembre 2011
Valutazione:★★★★
Era il 18 gennaio 1990. Un vento fresco, a tratti forte, soffiava da sud, portando con sè nubi cariche di pioggia.
Il viale della stazione di Limhamn era deserto, a parte qualche isolata automobile i cui fari si riflettevano nelle vetrine o sull'asfalto bagnato.
(incipit)

Trama

Una storia dei giorni nostri, un thriller marinaro ambientato negli anni Novanta che ci porta al Nord, in epiche traversate di mari in tempesta, dalla Danimarca alla Scozia, tra venti scatenati e onde che si ergono come muri d'acqua, in inseguimenti e fughe a vela, in compagnia di Ulf e Torben e il loro "Rustica", sulle tracce di MacDuff e Mary e del misterioso Cerchio Celtico, quell'organizzazione segreta che in Irlanda, Scozia, Paesi Baschi e Bretagna persegue con ogni mezzo il sogno di liberazione del popolo celtico. 

(dal retro di copertina)

Commento:
Ma gli autori scandinavi fanno per caso dei corsi di "geniologia della scrittura"? Perchè fino ad ora tutti quelli che ho incontrato si sono rivelati dei narratori strepitosi e anche questo secondo romanzo di Larsson da me letto non fa eccezione. Il Cerchio Celtico è un thriller ma, diversamente della maggior parte dei libri di questo genere, è anche un romanzo di viaggio e un'avventura marinara, oltre che un'immersione nella cultura celtica (della quale io subisco da sempre il fascino) e nei meravigliosi paesaggi scozzesi. Devo ammettere, infatti, che ciò che ho amato di più nel romanzo è stata l'ambientazione in Scozia, una delle terre che più mi affascinano ed ispirano, ma che finora purtroppo ho visitato solo attraverso film e libri. Con questo non voglio dire che la storia non mi sia piaciuta, perchè l'ho trovata appassionante, ma per quanto mi riguarda non era quella la parte fondamentale: ciò che mi ha stregata dello stile di Larsson è stata l'incredibile vividezza con cui disegna con le parole i luoghi e le situazioni.

Nonostante l'azione si svolga prevalentemente in mare e nel libro si incontrino molto spesso espressioni marinare, non ho trovato che queste appesantissero particolarmente il racconto: certo, se avessi conosciuto il loro significato "nella pratica" (quindi non cercato sul vocabolario, ma vissuto), avrei apprezzato ancora di più, ma le situazioni sono ben chiare anche quando non si sa a quale gesto preciso equivalga il termine "allascare" e l'incomprensione delle parole non rende la lettura frustrante (come invece mi era capitato, ad esempio, con Primo comando di Patrick O'Brian - che infatti ho abbandonato). La trama è interessante, anche se non sono riuscita a capire cosa ci sia di inventato e cosa invece sia vero: uno dei punti che più mi ha lasciata perplessa è stata l'affermazione che la Francia non abbia sottoscritto la Dichiarazione per i Diritti Umani in quanto ha effettuato delle discriminazioni nei confronti delle persone di origine celtica, soprattutto in Bretagna. Sono andata a cercare su internet, perchè mi pareva assurdo, e ho trovato che la Dichiarazione per i Diritti Umani è stata firmata nel 1948 a Parigi e redatta, tra gli altri, da un francese. Inoltre, la Dichiarazione del 1948 riflette la prima dichiarazione per i diritti dell'uomo, redatta al termine della rivoluzione francese, proprio dai francesi. Impossibile che proprio la Francia non abbia firmato, quindi se sono stati inventati fatti storici come questo, mi viene da pensare che non ci sia nulla di attendibile nel romanzo, cosa che mi risulta altrettanto strana: va bene inventare i personaggi, l'esistenza di una società segreta di una preparazione millenaria dell'indipendenza celtica, ma anche rimaneggiare in questo modo i fatti storici mi sembra un po' insolito. In ogni caso, la ricostruzione di questa lotta politica segreta dei celti per rendersi un popolo libero e indipendente mi ha affascinato immensamente e così aggiungo un altro argomento alla lista sempre più lunga di quelli che mi piacerebbe approfondire: la cultura celtica.

I personaggi che animano il romanzo mi sono piaciuti molto, senza esclusioni: ho adorato Torben, amante dei libri e della conoscenza che subisce il fascino di Mary, e per lei rischia la pelle, ma anche Ulf e MacDuff sono stati decisamente interessanti, il secondo soprattutto. Imperdibile, infine, la postfazione di Paolo Lodigiani che ci spiega la differenza tra la letteratura di mare e quella che potrebbe essere chiamata "letteratura di barche", la cui differenza sostanziale è che, mentre la letteratura di mare è aperta, comunicativa, estroversa, la letteratura di barche è chiusa e introspettiva: la barca, infatti, è un luogo chiuso, limitato, una specie di isola galleggiante. Il Cerchio Celtico rientra nella letteratura di barche e lo stesso Larsson ha dichiarato che il vero protagonista del romanzo è il Rustica.
Una delle poche occasioni in cui abbiamo abbassato la guardia, è stato quando il paesaggio si è aperto e il Loch Ness si è allargato davanti ai nostri occhi, uno specchio lungo e stretto, circondato da montagne dai fianchi lussureggianti, che a metà strada perdevano la vegetazione per lasciare il posto a cime nude e desolate e a cocuzzoli coperti di neve. Eravamo sopraffatti dalla grandiosità di quella vista e sorpresi dalle acque nere come petrolio del Loch Ness. Non ho mai visto, né prima né poi, un'acqua di quel colore. Aveva una sfumatura che evocava mostri mitologici e attirava il pensiero verso il fondo del lago piuttosto che alla sua superficie.
Per MacDuff il mare non era solo uno stile di vita, era il fondamento stesso del suo rapporto con la realtà. Era imparare a vivere sempre in movimento, a non dare mai niente per scontato, a cercare una sempre maggiore umiltà e rispetto per ciò che l'uomo non domina, e a vivere pienamente ogni istante. In mare si coglie la vera dimensione e il vero valore dell'essere umano.
Per noi che non possiamo vivere senza tracciare confini tra verità e menzogna, tra certezza e fede, è difficile capire un popolo che viveva soltanto di verità e di certezza. Nelle decine di migliaia di versi conservati negli antichi manoscritti irlandesi, non si parla mai, nemmeno una volta, di qualcuno che abbia detto una menzogna. Quella parola non esisteva nemmeno, così come i Celti non avevano un termine per indicare il concetto di favola.
Faccio parte di quelle persone che non si creano aspettative ed evitano di dare qualsiasi cosa per scontata, sia in positivo che in negativo. Un ottimista non ha mai davvero una bella sorpresa. Un pessimista si è aspettato così tanto il peggio che la gioia basta a malapena a recuperare il terreno perduto, se il suo pessimismo si rivela infondato. Ma ormai cominciavo a capire che essere pessimisti offriva dei vantaggi. Se il rischio di contraccolpo è grande, è meglio suddividere la delusione vivendone una parte in anticipo.
Orizzonti infiniti, varietà, voglia di vivere, doveva essere questo che MacDuff aveva avuto e aveva perduto. Impararlo sarebbe stato il mio modo di ricordarmi di lui e di sentire la sua mancanza.
(explicit)

Il Palazzo della Mezzanotte

sfide: a tema, mistero, incrociata

Titolo originale: El Palacio de la Medianoche
Autore: Carlos Ruiz Zafon
Anno di pubblicazione: 2010
Editore: Mondadori
Pagine: 312

Iniziato il: 9 novembre 2011
Terminato il: 10 novembre 2011
Valutazione: ★★★ e mezzo
Non potrò mai dimenticare la notte in cui nevicò su Calcutta. Il calendario dell’orfanotrofio di St Patrick’s sgranava gli ultimi giorni di maggio del 1932 e si lasciava alle spalle uno dei mesi più caldi che la storia delle città dei palazzi ricordasse.
Giorno dopo giorno, aspettavamo con tristezza e timore l’arrivo di quell’estate nella quale avremo compiuto sedici anni e che avrebbe significato la nostra separazione e lo scioglimento della Chowbar Society, il club segreto e riservato a sette membri esclusivi che era stato il rifugio durante gli anni dell’orfanotrofio. Lì eravamo cresciuti senz’altra famiglia che noi stessi e senza altri ricordi che le storie che ci raccontavamo intorno al fuoco a notte fonda, nel cortile della vecchia casa abbandonata che sorgeva all’angolo tra Cotton Street e Brabourne Road, un casermone in rovina che avevamo ribattezzati il Palazzo della Mezzanotte. Non sapevo, allora, che quella sarebbe stata l’ultima volta che avrei visto il luogo nelle cui strade ero cresciuto e il cui fascino mi ha inseguito fino a oggi.
(incipit)

Trama: 
Ben e Sheere sono due gemelli salvati appena nati da morte certa e separati, ancora in fasce, nel tentativo di salvare loro la vita. Dopo sedici anni, il passato bussa prepotentemente alla loro porta con il volto di una minaccia dagli occhi infuocati e i due fratelli sono costretti ad indagare sulla loro storia per scoprire chi e per quale motivo gli sta dando la caccia. Aiutati dai membri della Chowbar Society, la società segreta fondata da Ben e i suoi compagni durante gli anni all'orfanotrofio St. Patricks, i due ragazzi dovranno sfruttare tutto il proprio coraggio e la propria intelligenza per far luce sul mistero delle loro origini.

Commento:
Quando vengo colpita da un autore, mi piace sempre andare a ripescare i suoi lavori precedenti, non perchè mi aspetti di trovare chissà quale capolavoro (se lo trovo, ben venga), ma perchè sono curiosa di scoprire la sua evoluzione e il percorso che ha portato infine alla composizione del tal romanzo, particolarmente bello. Ho fatto così con Jostein Gaarder, e sono stata felicissima di aver scoperto le origini de Il mondo di Sofia tra le pagine di L'enigma del solitario, e così ho fatto anche in questo caso per Carlos Ruiz Zafon, autore che mi ha appassionato con Il gioco dell'angelo, ma mi ha del tutto stregata con L'ombra del vento. Il Palazzo della Mezzanotte è stato il suo secondo romanzo e al suo interno vi sono tutti gli ingredienti che si ritrovano, meglio amalgamati, nei suoi romanzi più recenti. Certo, di difetti ce ne sono: alcune incongruenze a livello di trama [SPOILER. evidenziare per leggere] (ad un certo punto viene detto esplicitamente, come se fosse un particolare fondamentale, che la combinazione dell'ingresso alla casa di Chandra cambia all'uscita di Ian, e che la parola da inserire non sarà più "Dido" ma "Kali". Poche pagine dopo, però, Ben si riprende da una perdita di conoscenza e trova Ian e gli altri accanto a lui nel salone: come hanno fatto a rientrare, non sapendo che la combinazione era cambiata e non essendoci nessun altro in casa a parte Ben - che era svenuto - che potesse aprire dall'interno?), il personaggio del nemico che non è, a mio parere, molto ben curato e a volte poco credibile [SPOILER. evidenziare per leggere](entra in campo il paranormale, è vero, ma a suo modo anche quello deve essere credibile), per citarne alcuni. Però, ed è un però molto importante, il romanzo è appassionante (effetto calamita: impossibile staccarsi dalle pagine), il ritmo incalzante e lo stile estremamante scorrevole; inoltre un paio di volte un brividino mi è corso lungo la schiena. Non c'è nulla da fare: Zafòn ha sempre avuto talento, sa scrivere, e tutti i difetti di questo romanzo sono imputabili esclusivamente al fatto che è uno dei primi, doveva ancora affinarsi e, soprattutto, doveva trovare la storia giusta. Dopotutto questo è il percorso degli scrittori veri: chi viene osannato ed esaltato al primo romanzo, o è un genio, o è un caso montato ad arte per vendere. Di geni, per ora, non ne ho visti.
In quel momento [...] mi bastò osservare il volto del mio amico Ben mentre parlava con Sheere per intuire che la ruota della fortuna aveva invertito il suo giro e che sul tavolo c'era una mano al buio, la cui posta ci spingeva a giocare una partita al di là delle nostre possibilità.
(Ian)
«Ci sono due cose nella vita che non puoi sceglierti, Ben. La prima sono i tuoi nemici. La seconda, la tua famiglia. A volte la differenza tra gli uni e l'altra è difficile da cogliere, ma il tempo insegna che, in fin dei conti, le tue carte avrebbero sempre potuto essere peggiori. La vita, figlio mio, è come la prima partita di scacchi. Quando inizi a capire come si muovono i pezzi, hai già perso.»

Le voci di Nike

Autore: Silvia M. Damiani
Anno di pubblicazione: 2010
Editore: ExCogita Editore
Pagine: 136

Iniziato il: 28 ottobre 2011
Terminato il: 07 novembre 2011
Valutazione: ★★ e mezzo
La vecchia camminava da tempo immemorabile.
"Un colpo secco, null'altro."
I piedi nudi accarezzavano l'erba profumata, ma il suo corpo non pareva nemmeno accorgersene: con la schiena curva, i capelli spenti e la pelle avvizzita, la donna dava l'impressione di portare sulle spalle una stanchezza inumana; aveva gli arti intorpiditi dal freddo, eppure continuava a camminare, guidata solamente dall'inerzia dei propri passi.
(incipit)
Trama: 
In un’atmosfera goticheggiante fuori da ogni tempo, la principessa Nike fugge gli aguzzini del principe Nabil, nemico e traditore, inseguita da un canto – a lei familiare e alieno insieme – trasportato dal vento. Avvolta da una spirale di incantesimi, voci e volti seducenti, che sembrano emergere da un passato dimenticato, la protagonista dovrà trovare in sé il potere per salvare, una volta per tutte, l’amore che le è stato violentemente sottratto da una volontà superiore.
“Sei nodi, uno per ogni senso, l’ultimo per il cuore”: l’intrecciarsi e il riflettersi della narrazione, condotta con originale maestria da questa giovane autrice, avvinceranno il lettore a un romanzo fantastico, lontano dai cliché del genere.

 (dal retro di copertina)

Commento:
Niente da fare, purtroppo tra me e questo libro è stata una lotta. Mi dispiace tantissimo, perché sono sempre felice quando, tramite le diverse catene di lettura a cui partecipo, scopro bellissime storie scritte da autori poco conosciuti, ma purtroppo questa volta non è scattata la scintilla: l'autrice in realtà scrive bene, si vede che c'è stato del lavoro dietro a questo racconto, il libro non è scritto tanto per fare. Il problema fondamentale è che secondo me è davvero troppo, troppo ingarbugliato: a me generalmente piace molto l'espediente di lasciar comprendere solo alla fine il vero significato di tutti gli elementi della storia e apprezzo anche gli slittamenti temporali, ma nel caso di questo racconto, per i miei gusti ci sono troppi giri.
Indubbiamente non è facile riuscire a scrivere un romanzo non lineare: bisogna avere perfettamente in testa tutta la trama e riuscire poi a smembrarla sparpagliando i vari tasselli attraverso le pagine e lo sforzo dell'autrice è da riconoscere, però non posso nascondere che la sovrabbondanza di parti apparentemente slegate tra loro, invece che catturarmi ha provocato l'effetto opposto e mi ha tenuta a distanza. Inoltre i personaggi sono rimasti lontani da me durante tutta la lettura: erano là, sullo sfondo, li vedevo sfocati e facevo fatica ad inquadrarli. L'unica che mi ha provocato qualche emozione è stata la protagonista, ma solo perché era talmente inerte da esasperarmi: cadeva in continuazione e ogni volta mi innervosiva.
Ciò che senza dubbio è stato reso alla perfezione è l'atmosfera ovattata perfetta per una fiaba, in cui sembra di essere immersi in un sogno senza tempo, dove ogni tanto appaiono immagini che poi scompaiono e in cui i pezzi si mescolano lasciando un senso di disorientamento. In generale, dal punto di vista dello stile, la scrittrice è stata molto brava, su questo non c'è dubbio. La questione è che non è riuscita ad avvinghiarmi e dopo un po' ho iniziato ad arrancare davvero con fatica. Ho voluto comunque sforzarmi di portare a termine la lettura perchè non mi sembrava giusto lasciarla a metà, dato che l'autrice è stata così gentile da mettere a nostra disposizione gratuitamente il suo lavoro, e come minimo meritava la lettura completa.

La morte nel villaggio

sfide: generi letterari, bersaglio, percorsi di senso, mistero

Titolo originale: Murder at the Vicarage
Autore: Agatha Christie
Anno di pubblicazione: 1980
Editore: Mondadori
Pagine: 195

Iniziato il: 05 novembre 2011
Terminato il: 06 novembre 2011
Valutazione: ★★★★
Non è tanto facile sapere con precisione da che parte cominciare questo racconto, ma ho fissato la mia scelta su un certo mercoledì all'ora della colazione in canonica. Benchè la nostra conversazione di quel giorno non avesse in fondo nulla a che fare con quanto mi accingo a scrivere, pure qualcuna delle frasi pronunciate ebbe più tardi una certa importanza sugli avvenimenti che sto per narrare.
(incipit)
Trama: 
La tranquillità del villaggio di St. Mary Mead viene scossa dall'omicidio del colonnello Protheroe, un uomo burbero e poco simpatico, ucciso da un colpo di rivoltella nella biblioteca del vicariato. Sembra inizialmente un caso di facile soluzione per l'ispettore Slack, ma una serie di eventi curiosi e di contraddizioni lo trasformano in un vero e proprio enigma che solo l'acuta Miss Marple riuscirà a risolvere.

Commento:
Il mio primo romanzo di Agatha Christie; complici alcune sfide di anobii, sono finalmente riuscita a leggere un giallo di questa grandissima signora del mistero e ne sono rimasta soddisfattissima, come prevedevo. Io non sono, infatti, un'amante di storie truculente o angoscianti: ho provato una volta a leggere un romanzo di Patricia Cornwell, mi pare fosse Calliphora (mia mamma è una grande fan di Kay Scarpetta), ma mi ha messo addosso talmente tanta ansia che ho deciso di cambiare genere. Se non mi piace che il narratore si soffermi troppo su dettagli macabri e sanguinosi, o mi faccia morire di paura mentre l'assassino zompa all'improvviso alle spalle del protagonista, adoro invece gli enigmi e cercare di risolverli insieme al detective di turno; per questo preferisco provare con i gialli "classici", al centro dei quali non c'è la mente malata di un serial killer che poi mi aspetto di ritrovarmi nascosto dietro ai cespugli sotto casa, ma un puzzle ben congegnato che va risolto mettendo insieme tutti i pezzi sparsi nel racconto. In questo mio primo tentativo ho fallito miseramente: sono cascata in pieno nel tentativo di depistaggio organizzato dal colpevole e sono costretta ad ammettere che avrei mandato in prigione un innocente. Meno male che Miss Marple è molto più sveglia di me.

Il romanzo è narrato in prima persona dal vicario di St. Mary Mead, Leonard Clement, il quale, dopo aver scoperto il cadavere del colonnello Protheroe nella sua biblioteca, inizia a giocare al detective, grazie anche al fatto che la maggior parte degli abitanti del villaggio preferiscono rivolgersi a lui piuttosto che alla polizia per rivelare informazioni. Miss Marple è una delle vecchiette un po' pettegole che animano il paese; a differenza delle sue compagne, però, è una grande osservatrice e possiede una mente molto acuta, oltre alla straordinaria prerogativa di trovarsi sempre nel posto giusto al momento giusto. Ad essere sincera, mi aspettavo che a narrare la vicenda fosse Miss Marple, o per lo meno che facesse parte dei personaggi principali; l'anziana signora, invece, compare solo ogni tanto all'interno del racconto per insinuare qualche dubbio e riportarci sulla retta via, e fa poi il suo ingresso trionfale nella scena finale nella quale rivela l'identità dell'assassino, la dinamica del delitto e il percorso che l'ha condotta verso la soluzione. Spero che nelle sue avventure successive sia un po' più presente, perchè è una figura che mi incuriosisce molto e mi piacerebbe conoscerla meglio.

Miss Marple è una vecchietta coi capelli bianchi e dai modi sempre molto timidi e mansueti. La signorina Wetherby è un misto di miele e di aceto. Miss Marple è certamente la più pericolosa delle due.
"La famosa intuizione di cui si fa un gran parlare, sta in fondo tutta qui. Intuire significa in realtà leggere una parola senza bisogno di compitarla. I bambini non ci riescono perchè mancano di esercizio, ma i grandi riconoscono subito la parola, per averla vista molte volte nel corso della loro vita."
(Miss Marple)