Mi chiamo Chuck

Titolo originale: Lexapros and Cons
Autore: Aaron Karo
Data di pubblicazione: 1973
Editore: Giunti, 2012
Formato: Ebook, 288 pag.

Inizio lettura: 18 settembre 2013
Fine lettura: 19 settembre 2013
Lettura n.: 41/2013
Il mio voto: ★★★☆☆
Lo scorso anno mi sono fatto esattamente 273 pippe. Questo fa una media di 5,25 alla settimana e di 0,75 al giorno. Non so cos’è che mi impressiona di più: il fatto che mi spari così tante pippe o che ne abbia tenuto il conto per tutto l’anno. Però è vero, ho segnato il numero su una pila sempre più alta di post-it nascosta nel comodino. Fatti una pippa, prendi nota, vai a nanna. La routine.
Forse l'incipit del libro non fa presagire nulla di buono ma in realtà questo romanzo è veramente carino e si divora in pochissimo tempo. Il protagonista è Chuck, un adolescente un po' sfigato e affetto da un disturbo ossessivo-compulsivo che condiziona completamente la sua vita: Chuck si lava le mani mille volte al giorno, imposta per quattordici volte di fila la combinazione dell'armadietto a scuola, controlla continuamente le piastre elettriche di casa e si alza dal letto almeno una decina di volte a serata per fare pipì. Naturalmente Chuck non è molto popolare a scuola e ha pochissimi amici. Tutto cambia quando nella sua vita entra Amy, una nuova compagna di classe di cui il ragazzo si innamora e per la quale sarà obbligato a fronteggiare una volta per tutti il suo problema.

Il tono del romanzo è molto leggero e ironico ma allo stesso tempo non superficiale e soprattutto non è il classico YA scritto coi piedi (sarà perché non è paranormal romance, quindi la probabilità di boiata si abbassa notevolmente) ma al contrario è molto coinvolgente, narrato bene seppur con linguaggio adolescenziale (e in prima persona!! Mi fa sempre paura la prima persona, però qui è dosata bene) e parla di un problema importante pur senza appesantire la lettura: si percepisce chiaramente quanto le manie rendano difficile la vita a Chuck, però non si punta a provocare compassione nel lettore, bensì una partecipazione "propositiva" alla volontà di Chuck di risolvere il suo problema: si tifa per lui, insomma.

I personaggi provocano immediata simpatia, soprattutto Chuck e il suo migliore amico Steve, e fortunatamente viene presentata una famiglia normale, quella del protagonista, in cui naturalmente il rapporto genitori-figli non è tutto rose e fiori ma non c'è il solito stereotipo dei genitori che non capiscono i figli/i figli che non capiscono i genitori: è una via di mezzo, come in tutte le famiglie normali. I "nemici" si, sono abbastanza stereotipati (il bullo della scuola) però purtroppo questo rappresenta quella che spesso è l'effettiva realtà: alcuni ragazzi vengono semplicemente presi di mira, senza una vera ragione.

Passando a dei dettagli secondari, è un peccato che non si sia trovata una trasposizione migliore del titolo originale Lexapros and Cons: il Lexapro infatti è un farmaco antidepressivo (lo stesso che assume Chuck) che credo sia venduto solo negli USA, almeno con questo nome, mentre "Cons" è il termine in slang che sta per "Converse All Star", la marca di scarpe di cui Chuck possiede, sempre a causa del suo disturbo, un paio di ogni colore, uno per ogni stato d'animo. In effetti la resa in italiano non è così facile, però è un peccato, perchè alla fine il titolo scelto è piuttosto banale.

4 storie quasi vere

Autore: Jon Blake
Data di pubblicazione: 1992
Editore: Mondadori 1993
Formato: Paperback, 81 pag.

Inizio lettura: 17 settembre 2013
Fine lettura: 18 settembre 2013
Lettura n.: 40/2013
Il mio voto: ★★★☆☆
Ho preso l'autobus sbagliato, signorita Waiters. Ma non è colpa mia. E' colpa dell'uomo che fa gli autobus: doveva metterci il numero anche di dietro, oltre che davanti. Comunque, ero così preoccupato di fare tardi a scuola, che sono saltato su di corsa, sperando che tutto andasse per il meglio.
Simpatico e divertente. Il libro raccoglie alcune storie con protagonista un bambino di nome Stanely, le cui giustificazioni per non aver fatto i compiti sono così fantasiose e astruse che la maestra stessa decide di raccogliere le più belle e inviarle ai genitori. L'aspetto più rilevante di queste storie è che spesso comunicano dei messaggi ironici nei confronti di alcune situazioni reali: ad esempio, la storia dei turisti è una presa in giro di questi gruppi organizzati che scattano foto ovunque e a chiunque, si impressionano per le cose più banali, ma anche in tutti gli altri racconti c'è questa ironia di sfondo che li rende simpatici anche ad un lettore adulto.

La principessa sposa

Autore: William Goldman
Data di pubblicazione: 1973
Editore: Marcos y Marcos, 2007
Formato: Paperback, 329 pag.

Inizio lettura: 12 settembre 2013
Fine lettura: 18 settembre 2013
Lettura n.: 39/2013
Il mio voto: ★★☆☆☆
Tra tutti i libri del mondo questo è il mio preferito, anche se non l'ho mai letto.
Solo l'anno scorso ho scoperto, con mia immensa gioia, che uno dei film che più ho amato nella mia infanzia era stato tratto da un libro; così questo mese ho approfittato del fatto che era esposto nella mia biblioteca tra i libri in evidenza per decidermi una buona volta a leggerlo. Ecco, sarebbe stato meglio se non l'avessi fatto. Ok, no, sto esagerando. Il libro sarebbe stato bello... se non fosse che io mi aspettavo qualcosa di totalmente diverso! Credevo di trovarmi di fronte ad una vera storia d'amore, ad una favola meravigliosa e magica, che mi facesse provare gli stessi sentimenti che mi aveva provocato il film anzi ingigantendoli, proprio perché nel libro l'autore si può sbizzarrire molto di più. E invece no. "La principessa sposa" si prende gioco delle fiabe tradizionali e, tramite un cinismo e un'ironia che oltretutto non mi sono nemmeno piaciuti, vuole probabilmente far intendere che la vita vera non è come nelle favole: è ingiusta e nella maggior parte dei casi non c'è un lieto fine.

Al di là del fatto che personalmente dubito parecchio della valenza pedagogica di un concetto del genere - in quanto non solo ogni persona capisce sulla propria pelle che purtroppo la vita vera non è perfetta (e quindi non vedo l'utilità di "sbatterlo in faccia" in questo modo, come se tutti quelli che si aspettavano il lieto fine fossero dei poveri storditi che non sanno distinguere tra romanzo e realtà), ma credo che finchè si è bambini si debba avere il sacrosanto diritto di sognare, altrimenti nasciamo direttamente adulti, così non sprechiamo tempo - credo che le fiabe e le favole, con le loro conclusioni felici raggiunte solo dopo aver superato mille peripezie, abbiano proprio la funzione di far capire che nella vita si debba sempre andare avanti e affrontare gli ostacoli senza abbattersi, lottando per conquistarsi la propria felicità.

Inoltre, se proprio devo dirla tutta, penso che la maggior parte dei bambini che leggono, leggeranno o hanno letto questo libro siano comunque dei bambini (e saranno degli adulti) privilegiati la cui vita permette loro di avere del tempo libero e di poterlo dedicare alla lettura, e di conseguenza tutte queste difficoltà saranno spesso molto relative, o comunque "nella norma", con i dolori e i problemi che ognuno di noi deve affrontare: a quelli che veramente hanno di fronte a sé una vita senza lieto fine, credo che probabilmente non freghi proprio una mazza di leggere questo libro, magari non hanno nemmeno la possibilità farlo. Per questo motivo ho trovato estremamente fastidiosi i commenti di Goldman durante la narrazione, che avrebbe secondo me passato lo stesso messaggio, forse anche in modo più intenso, se invece del cinismo ci si fosse basati su una trama più profonda e magari, perché no, sulla vera assenza di un lieto fine.

Non so, forse sono io che non ho capito il vero spirito del romanzo o semplicemente ero talmente accecata dalle mie aspettative che mi sono presa una "tranvata" in piena regola. Dovrò provare a rileggerlo tra qualche anno. Nel frattempo continuo a guardare il film.

Una valigia alla Victoria Station

Autore: Vivien Alcock
Data di pubblicazione: 1991
Editore: Mondadori, 1993
Formato: Paperback, 178 pag.

Inizio lettura: 10 settembre 2013
Fine lettura: 11 settembre 2013
Lettura n.: 38/2013
Il mio voto: ★★☆☆☆
Arrivarono che era l'alba. Scampanellarono, bussarono forte alla porta, gridarono. La camera di Elinor stava sul retro della casa e il rumore interruppe i suoi sogni e confusamente le fece cercare la coperta, che si tirò con uno strappo fin sopra la testa, per non sentire. A differenza di sua sorella Judy, Elinor faceva sempre una fatica terribile a svegliarsi e le ci voleva un sacco di tempo prima di essere perfettamente lucida.
(incipit)
Il libro racconta la storia di tre fratelli la cui vita viene sconvolta dall'arresto del padre, arrestato per frode. Da quel momento i tre ragazzi devono affrontare una difficile separazione: a causa dell'incapacità della matrigna di prendersi cura di loro perchè troppo giovane e inesperta, i ragazzi vengono divisi tra i vari parenti, persone mai conosciute prima, e sono costretti ad allontanarsi l'uno dall'altra. A questo fa da contorno la vicenda di una misteriosa valigia affidata ad Elinor, la sorella più grande, dal padre poco prima che venisse portato in prigione.

Non ho trovato questo libro particolarmente entusiasmante: tutta la questione della valigia non ha molto senso, viene inserita nel racconto per creare un mistero quando in realtà si scopre che attorno a quella valigia di misteri proprio non ce ne sono, un po' come non ce ne sono attorno alla figura del padre, le cui azioni sono circondate da una certa ambiguità come se dovessero invece portare a chissà cosa. Quello che mi è piaciuto è il fatto che il racconto lascia trasparire la fallibilità dei genitori, che essendo esseri umani possono fare errori che vanno poi a riversarsi anche sui loro figli: in questo caso, poi, ci si mette anche la matrigna, una ragazzina di vent'anni che sfoga le sue ansie sui ragazzi invece di essere lei la spalla che a loro serve in un momento del genere.

La famosa invasione degli orsi in Sicilia

Autore: Dino Buzzati
Data di pubblicazione: 1945
Editore: Mondadori, 1997
Formato: Paperback, 75 pag.

Inizio lettura: 09 settembre 2013
Fine lettura: 10 settembre 2013
Lettura n.: 37/2013
Il mio voto: ★★★☆☆
Dunque ascoltiamo senza batter ciglia
la famosa invasione degli orsi in Sicilia.
(incipit)
Conoscevo già da tempo il titolo di questo racconto di Dino Buzzati e credo anche, in passato, di aver sentito da qualche parte la prima strofa della poesia che dà inizio alla storia, senza però avere alcuna idea di che cosa parlasse.

I protagonisti di questa favola piuttosto amara e malinconica sono gli orsi che tanti secoli fa, in una Sicilia mitica, vivevano in pace e in semplicità sugli altissimi monti dell'isola. Quando però il figlio del loro re viene rapito dai cacciatori uomini, un esercito di orsi scende dalle montagne e, dopo aver superato mille pericoli, espugnano finalmente la città degli uomini ai quali si mescolano, acquisendone però i vizi.

Gli orsi protagonisti del racconto sono completamente umanizzati: non solo parlano la stessa lingua degli uomini, ma ognuno di loro ha delle caratteristiche ben precise che vengono presentate all'inizio del libro (vi è infatti un elenco di luoghi e personaggi con una breve descrizione) e che svolgeranno un ruolo chiave all'interno della vicenda. Il linguaggio usato da Buzzati è chiaro e semplice, perfettamente adatto ad un bambino, ma a questo fa un po' da contraltare l'enorme quantità di morti disseminati nella storia (anche se in realtà, pensando ai film e ai videogiochi che passano oggi sotto il naso dei bambini, anche molto più piccoli di quelli a cui è indirizzata questa storia, non credo proprio ci sia nulla di cui scandalizzarsi). Il messaggio che Buzzati vuole mandare è chiarissimo: l'uomo è egoista e corrotto, e con i sui comportamenti corrompe anche tutto ciò che di innocente c'è intorno a lui. Ebbene si, Buzzati non dimostra molta pietà nei confronti dei suoi simili, ma dopotutto come dargli torto? Fortunatamente il lieto fine c'è, ma per gli orsi, che resisi conto della cattiva influenza degli uomini decidono di tornare alle montagne.

Guida galattica per gli autostoppisti

Autore: Douglas Adams
Data di pubblicazione: 1979
Editore: Mondadori, 1999
Formato: Paperback, 213 pag.

Inizio lettura: 04 settembre 2013
Fine lettura: 09 settembre 2013
Lettura n.: 36/2013
Il mio voto: ★★★★☆
Lontano, nei dimenticati spazi non segnati nelle carte geografiche dell'estremo limite della Spirale Ovest della Galassia, c'è un piccolo e insignificante sole giallo.
A orbitare intorno a esso, alla distanza di centoquarantanove milioni di chilometri, c'è un piccolo, trascurabilissimo pianeta azzurro–verde, le cui forme di vita, discendenti dalle scimmie, sono così incredibilmente primitive che credono ancora che gli orologi da polso digitali siano un'ottima invenzione.
Questo libro è strepitoso. Non saprei come altro definirlo, è fantastico, mi è piaciuto tantissimo e non avrei mai voluto che finisse. Perché è troppo assurdo... ogni tanto mi capitava di leggere un paragrafo, arrivare all'ultima frase, fermarmi un attimo e rileggere il paragrafo da capo perché non potevo credere che ci fosse davvero scritto quello che avevo letto! Fantastico, proprio il genere che adoro, basato sull'assurdo, sui giochi di parole e sulla più sfrenata fantasia. In più, aiutata dall'aver già visto il film nel quale gli attori scelti sono perfetti nei diversi ruoli, non potevo fare a meno di immaginarmi le facce di Martin Freeman, Mos Def, Sam Rockwell e Zooey Deschanel (una Trillian fantastica).

La componente fantascientifica del romanzo è una cornice perfetta perché permette di rendere plausibili gli eventi e le situazioni più strambe (penso ad esempio al povero capodoglio e al vaso di petunie!! Ho riso tantissimo!!) e questo far sembrare normali le cose più improbabili è l'ingrediente essenziale della comicità del libro. I personaggi, poi, sono uno più geniale dell'altro, per non parlare della Guida, i cui estratti sono forse la parte più bella ed esilarante di tutto il romanzo. Cavolo, mi sta venendo voglia di rileggerlo!!

L'uomo delle nuvole

Autore: Mathias Malzieu
Data di pubblicazione: 1988
Editore: Feltrinelli, 2011
Formato: Paperback, 144 pag.

Inizio lettura: 02 settembre 2013
Fine lettura: 03 settembre 2013
Lettura n.: 35/2013
Il mio voto: ★★★★☆
Mi chiamo Tom “Ematom” Cloudman. A quanto dicono, sono il peggior acrobata del mondo.
All'inizio questo nuovo romanzo di Mathias Malzieu proprio non mi convinceva: non riuscivo a capire il protagonista, che mi sembrava solo un povero pazzo con la fissa del volo e degli uccelli. Insomma, mi faceva un po' pena, perché un personaggio infelice lascia sempre un po' di dispiacere (soprattutto quando è infelice non per colpa sua), ma niente di più. Con l'arrivo in ospedale, però, qualcosa è cambiato e ho iniziato a dare un senso alla storia e ad apprezzarla, fino alla conclusione che mi ha davvero commosso (si si, con tanto di lacrimoni!).

Lo stile è molto simile a quello de "La meccanica del cuore" anche se perde le caratteristiche "gotiche" che lo rendevano un pò "Tim-Burtiano", avvicinandosi ad un'atmosfera un po' più onirica, nella quale si fa fatica a capire se ciò che viene raccontato è realtà o sogno. In ogni caso credo che il punto non sia questo: non mi interessa sapere se davvero la dottoressa Cuervo si trasformava in una donna-uccello oppure era solo l'immaginazione di Cloudman. La cosa importante sono le riflessioni che questa storia mi ha portato a fare: siamo disposti a perdere la nostra umanità, o a farla perdere alle persone che amiamo pur di farle rimanere in vita? E si può chiamare "vita" quello stato in cui non c'è coscienza? Siamo ancora umani quando, ad esempio, i nostri organi funzionano ancora solo perchè attaccati a delle macchine?

Alla fine del romanzo, Cloudman si trasforma definitivamente in un uccello, perdendo memoria e coscienza di sé, ovvero perdendo del tutto quelle caratteristiche che lo rendevano un essere umano; così prende il volo e sparisce nel cielo lasciando dietro di sé persone che, pur sapendo che è ancora vivo, non possono più averlo al loro fianco. Qual'è la differenza tra questa condizione e quella di una persona che viene tenuta in vita ma ormai, pur essendo magari fisicamente al nostro fianco, non è più con noi? E non solo, non ho potuto fare a meno di pensare ad una malattia, che provoca qualcosa forse di ancora peggiore del trovarsi incoscente in un letto, attaccato ad una macchina: l'Alzheimer, che ti fa essere lontano mille miglia da chi ti ama, pur rimanendo fisicamente vicino e per di più magari anche in buona salute fisica.

Non è facile rispondere a queste domande e non so nemmeno se l'intento dell'autore fosse davvero questo: il libro stesso non fornisce delle risposte né dei giudizi. Quello che fa è raccontare con una metafora poetica e commuovente la realtà quotidiana di molte persone. Da leggere.

"[...] Soltanto un mutamento totale le permetterà di sfuggire alla morte.”
“Non ho paura.”
“È proprio questo che mi preoccupa! So di cosa è capace. E di cosa è incapace.”
In questo momento mi sento il più tenace e il più fragile degli uomini.
“Al tempo stesso erediterà la forza e la debolezza dell’uccello che diverrà.”
“Si può scegliere?”
“Inconsciamente. Diventiamo ciò che siamo.”
“Ciò significa che potrei ritrovarmi nel corpo di un povero dodo che non sa nemmeno volare?”
“Non è da escludersi... Nella migliore delle ipotesi, qualunque cosa accada, lei sarà qualcosa di estraneo per l’occhio umano. Potrà affascinare o spaventare.”
“Come tutte le persone che cercano di costruire qualcosa di differente, non le pare?”

Un mostro in giardino

Autore: Vivien Alcock
Data di pubblicazione: 1988
Editore: Mondadori, 1992
Formato: Paperback, 141 pag.

Inizio lettura: 07 agosto 2013
Fine lettura: 08 settembre 2013
Lettura n.: 34/2013
Il mio voto: ★★★☆☆
Non avrei dovuto farlo. Non era mia intenzione, ma naturalmente questa non è una scusante. Avrei dovuto immaginarlo, con un nome come il mio. Frances Stein. Frankie per gli amici.
Mi stavo quasi dimenticando di aver letto anche questo libriccino quest'estate. Frances Stein, chiamata Frankenstein dai compagni di scuola, è l'unica femmina di una famiglia composta interamente da maschi. Il padre, un brillante scienziato sempre assorbito dal suo lavoro, non ha il tempo né le capacità di dedicarsi a questa ragazzina che non sa come prendere e così Frankie vive la sua vita sostanzialmene ignorata da padre e fratelli. Un giorno, inspiegabilmente, da uno scarto di laboratorio del padre nasce una creatura sconosciuta, un mostriciattolo gelatinoso e verde. Passata la paura, Frankie decide di prendersi cura del mostro da lei creato, ma le difficoltà aumentano vertiginosamente con il passare del tempo: Monnie, infatti, cresce sempre di più e tenerlo nascosto diventa davvero un problema.

In questi anni la Mondadori Junior ha pubblicato racconti per ragazzi che sono uno più bello dell'altro: "Un mostro in giardino" non fa eccezione, perché la storia è davvero simpatica e coinvolgente, senza contare che mi sono innamorata perdutamente del tenerissimo mostriciattolo protagonista... dolcissimo! Sono sicura che qualsiasi bambino amante degli animali leggendo il racconto non possa fare a meno di immedesimarsi nella protagonista, Frankie, e di rimanere coinvolto nei suoi disperati tentativi di proteggere il "suo" mostro; specialmente la sequenza finale fa tantissima tenerezza. Il bello, in più, è che questa storia mi sembra decisamente "unisex", ovvero può piacere moltissimo a lettori e lettrici senza distinzioni (quindi, ottimo libro che una maestra può far circolare in classe o leggere ad alta voce, catturando l'interesse di tutti).

Vetro

Autore: Giuseppe Furno
Data di pubblicazione: 2013
Editore: Longanesi, 2013
Formato: Hardcover, 784 pag.

Inizio lettura: 21 agosto 2013
Fine lettura: 01 settembre 2013
Lettura n.: 33/2013
Il mio voto: ★★★★☆
Tutto era accaduto nello spazio di un respiro, poco prima della mezzanotte. Di quell'attimo Andrea ricordava il lampo, la vibrazione, il boato, poi il vento, infine il calore e le fiamme. Chissà perché, sulle prime, aveva attribuito l'esplosione alla fine della storia con Taddea. Probabilmente era stato il sonno a sposare due eventi che nulla avevano in comune, salvo un improvviso cambiamento.
Il romanzo è diviso in quattro parti, come gli elementi: fuoco, acqua, terra, aria ed effettivamente ogni elemento è predominante nella parte che ne prende il nome. Il protagonista della vicenda è Andrea Loredan, figlio minore del doge Pietro Loredan (figura storica realmente esistita; nella realtà ebbe però un solo figlio, Alvise, presente anch'egli nel romanzo) e Avvocato de'Prigioni, ovvero avvocato "d'ufficio" che difende coloro che vengono arrestati e rinchiusi nelle prigioni di Venezia.

Il tutto inizia il 13 settembre 1569, notte dello scoppio dell'Arsenale; durante i tragici eventi di quella notte, Andrea viene coinvolto in una vicenda misteriosa che riguarda una badessa in fin di vita e un anziano turco. Contemporaneamente la sua vita si lega a quella di Sofia Ruis, una madre che ha perso inspiegabilmente un figlio e ora rischia di perdere anche l'altro, accusato dell'omicidio del fratellino.

Anche se il protagonista "ufficiale" del romanzo è Andrea, l'autore ci dà la possibilità di leggere la vicenda dai punti di vista di innumerevoli personaggi; ciò permette di approfondire e delineare tutta una serie di figure che popolano la Venezia del romanzo e mostrare i diversi aspetti e le diverse facce della vita nella città: gli intrighi politici, la vita quotidiana, il lavoro, il funzionamento delle leggi, ecc. Insomma, fa vivere la Venezia del '500 in maniera così realistica e intensa da dare davvero l'impressione di esserne catapultati per le strade. Senza dubbio uno dei romanzi meglio scritti tra quelli da me letti quest'anno (e tra i "non-classici" è certamente il migliore).

Il Codice Da Vinci

Autore: Dan Brown
Titolo originale: The Da Vinci Code
Serie: Robert Langdon, n.2
Data di pubblicazione: 2003
Editore: Mondadori, 2003
Formato: Hardcover, 455 pag.

Inizio lettura: 17 agosto 2013
Fine lettura: 20 agosto 2013
Lettura n.: 32/2013
Il mio voto: ★★★★☆
Il famoso curatore del Louvre, Jacques Saunière, raggiunse a fatica l'ingresso della Grande Galleria e corse verso il quadro più vicino a lui, un Caravaggio. Afferrata la cornice dorata, l'uomo di settantasei anni tirò il capolavoro verso di sé fino a staccarlo dalla parete, poi cadde all'indietro sotto il peso del dipinto.
Come da lui previsto, una pesante saracinesca di ferro calò nel punto da cui era passato poco prima, bloccando l'ingresso al corridoio. Il pavimento di parquet tremò. Lontano, un allarme cominciò a suonare.
Tra tutti i romanzi con protagonista Robert Langdon, questo è quello che mi è piaciuto di più; l'ho trovato migliore anche di "Angeli e Demoni" che invece in versione cinematografica mi aveva appassionato maggiormente (forse ha influito anche il fatto che quest'ultimo me lo ricordavo molto meglio).
Le caratteristiche principali degli altri romanzi tornano anche qui: Robert Langdon si trova coinvolto suo malgrado in un altro caso di omicidio e con la sua esperienza di studioso di simboli, inizia una frenetica "caccia al tesoro" tra i monumenti della città accompagnato da un'affascinante quanto sgamata donzella, in questo caso la nipote del defunto curatore del Louvre, alla ricerca della "chiave di volta", che protegge uno dei più grandi misteri della storia: il Santo Graal. Naturalmente i due sono inseguiti da avversari che cercano la chiave di volta per i loro loschi scopi e che sono disposti a tutto, anche a fare la pelle al povero Langdon che fa tanto quello che non vuole immischiarsi ma poi quando "annusa" la presenza di qualche bel mistero non esita a tuffarsi a testa bassa nell'avventura. Che dire, un bel "page turner", perfetto per l'estate, il classico libro che diverte.

Purtroppo ho notato che il problema fondamentale di Dan Brown rimane sempre uno: il finale. Le conclusioni dei suoi romanzi sono davvero banali e contrastano con tutto il resto della storia (rovinando anche l'effetto complessivo perché un bel libro con un brutto finale è come una cena luculliana che termina con il dessert della Bindi). Peccato, però non per questo mi sentirei di sconsigliarlo.

1984

Autore: George Orwell
Titolo originale: 1984
Data di pubblicazione: 1948
Editore: Mondadori, 1989
Formato: Paperback, 322 pag.

Inizio lettura: 02 agosto 2013
Fine lettura: 17 agosto 2013
Lettura n.: 31/2013
Il mio voto: ★★★★★
Era una luminosa e fredda giornata d'aprile, e gli orologi battevano tredici colpi. Winston Smith, tentando di evitare le terribili raffiche di vento col mento affondato nel petto, scivolò in fretta dietro le porte di vetro degli Appartamenti Vittoria: non così in fretta tuttavia, da impedire che una folata di polvere sabbiosa entrasse con lui.
Iniziato con un gruppo di lettura e piena di buone intenzioni, terminato abbondantemente prima del tempo perché proprio non sono riuscita a rispettare le tappe: nonostante ciò, come si vede dalle date di lettura, ho impiegato quindici giorni a finirlo perché l'ho trovato da una parte un romanzo scorrevolissimo, ma dall'altra estremamente difficile a causa delle emozioni che suscita durante la lettura. Pur non essendo "crudo" a livello di immagini, lo infatti è dal punto di vista psicologico: è angosciante, claustrofobico, non lascia speranza. Quest'ultima sensazione è la più forte di tutte, perché si inizia a percepire fin dall'inizio ma in modo mascherato: si legge nei vicini di casa del protagonista, nei colleghi di lavoro, nei prolet, nei bambini, ma si intuisce vagamente, come con la coda dell'occhio. La seconda parte del romanzo quasi illude (come del resto illude Smith) ma disperde quà e là degli indizi che io ho letto soprattutto nei discorsi di Julia e nella figura di O'Brien. La terza, invece è un crescendo (o meglio, un crollo), fino all'ultima frase che mi ha lasciato completamente vuota.

Tremende sono le "invenzioni" ideate dal partito per assoggettare la mente dei cittadini: il bipensiero, la creazione della Neolingua e la continua revisione delle informazioni e della storia per adattarle alle esigenze del partito. Tutto ciò unito alla continua sorveglianza tramite i megaschermi che catturano anche le manifestazioni inconsce di uno psicoreato, alla costante possibile presenza di spie pronte a denunciare anche i propri genitori e figli, al quasi totale assoggettamento dei membri del Socing (ovvero quelli come Smith) e all'assoluta indifferenza dei prolet creano un'atmosfera che angosciante è dire poco. Ci sono solo tre luoghi "rifugio" nel romanzo: l'angolo in cui Smith scrive il diario, la radura dove si incontra con Julia e la camera sopra al negozio di antiquariato. Per il resto non c'è modo di sfuggire allo sguardo del Grande Fratello.

I personaggi, inclusi quelli principali, sono parte integrante di questa "coreografia" claustrofobica anche dal punto di vista estetico: la bellezza sembra non esistere, tutti sono grigi come la città in cui vivono, nessuno mostra platealmente emozioni a meno che non siano di odio verso i nemici del partito o di entusiasmo verso il partito stesso.

Sono contenta di aver aspettato tanto per leggere questo romanzo, perché credo sia uno di quei libri per i quali bisogna trovare il momento e lo spirito giusto: bisogna essere pronti a farsi scuotere.