Il sosia è un romanzo scritto da Dostoevskij nel 1845, un anno dopo la pubblicazione di Povera Gente, esordio acclamato dalla critica del tempo che stroncò invece questa seconda opera verso la quale l’autore nutriva grandi aspettative che si mutarono successivamente in insoddisfazione, tanto che fu addirittura sul punto di riscriverla interamente.
La storia narra la vicenda di Jakòv Petrovic’ Goljadkin, un impiegato, un personaggio assolutamente comune dalla vita identica a quella di tanti altri burocrati della Russia ottocentesca, la cui quotidianità viene completamente sconvolta dall'ingresso in scena del suo sosia, un personaggio che con lui condivide ogni cosa, dall’aspetto fisico al nome, al posto di lavoro, alle amicizie. Presto la presenza di questo sosia, con il quale inizialmente il “nostro eroe” cerca di allearsi per sbarazzarsi di “certi suoi nemici” - che per tutto il romanzo non si capirà se sono tali solo nella mente alterata del protagonista - e ottenere la stima dei suoi superiori, si trasforma in un vero e proprio incubo quando il Goljadkin-junior, come viene denominato nel romanzo per distinguerlo dal vero Goljadkin, inizia a manovrare in modo infido per iniziare una scalata sociale che porterà Goljadkin-senior alla totale rovina.
La lettura de Il sosia è stata, nonostante le sue 250 pagine, estremamente faticosa. Come sempre Dostoevskij si dimostra un maestro nell’arte di dipingere le ossessioni dei suoi personaggi, rendendo alla perfezione - nei loro discorsi, nella gestualità, nelle espressioni - la confusione delle loro menti. Il ritmo della narrazione è gestito in modo da acuire la sensazione di smarrimento: in modo completamente disordinato si alternano brani di una lentezza esasperante a momenti di azione frenetica e di repentini cambi di umore. La confusione mentale del protagonista si rivela nel continuo mutamento delle sue opinioni e delle sue emozioni: ogni stato d’animo che esprime forza ed energia si muta nel giro di poche righe, a volte addirittura all’interno della stessa frase, nel suo esatto opposto.
Nel procedere attraverso le vicende di Goljadkin noi lettori non abbiamo mai la certezza di cosa stia davvero accadendo: Goljadkin-junior esiste veramente? Lo fa pensare il fatto che tutti i personaggi interagiscono con lui. Oppure è solo un parto della mente di Goljadkin-senior, come possono far credere le risposte evasive del servitore Petruska o gli sguardi di pietà e di derisione che spesso gli lanciano colleghi e superiori? Questo, unito alla scelta di presentare un narratore esterno che ci propone il flusso dei pensieri Goljadkin-senior alternandola al resoconto delle sue azioni e dei suoi movimenti, che spesso si contraddicono tra loro producendo un effetto grottesco, rappresenta un altro elemento che incrementa nel lettore la sensazione di disorientamento.
Insomma, affrontare questo romanzo è stato per me tanto faticoso quanto per il protagonista tentare di liberarsi del suo sosia: una paranoia stressante che ti perseguita continuamente, anche lontano dalla lettura. E cosa si fa quando un libro ti fa provare le stesse emozioni, seppur di ansia e fastidio, e nella stessa intensità di quelle provate dal protagonista? Gli si danno cinque stelle come minimo.
La storia narra la vicenda di Jakòv Petrovic’ Goljadkin, un impiegato, un personaggio assolutamente comune dalla vita identica a quella di tanti altri burocrati della Russia ottocentesca, la cui quotidianità viene completamente sconvolta dall'ingresso in scena del suo sosia, un personaggio che con lui condivide ogni cosa, dall’aspetto fisico al nome, al posto di lavoro, alle amicizie. Presto la presenza di questo sosia, con il quale inizialmente il “nostro eroe” cerca di allearsi per sbarazzarsi di “certi suoi nemici” - che per tutto il romanzo non si capirà se sono tali solo nella mente alterata del protagonista - e ottenere la stima dei suoi superiori, si trasforma in un vero e proprio incubo quando il Goljadkin-junior, come viene denominato nel romanzo per distinguerlo dal vero Goljadkin, inizia a manovrare in modo infido per iniziare una scalata sociale che porterà Goljadkin-senior alla totale rovina.
La lettura de Il sosia è stata, nonostante le sue 250 pagine, estremamente faticosa. Come sempre Dostoevskij si dimostra un maestro nell’arte di dipingere le ossessioni dei suoi personaggi, rendendo alla perfezione - nei loro discorsi, nella gestualità, nelle espressioni - la confusione delle loro menti. Il ritmo della narrazione è gestito in modo da acuire la sensazione di smarrimento: in modo completamente disordinato si alternano brani di una lentezza esasperante a momenti di azione frenetica e di repentini cambi di umore. La confusione mentale del protagonista si rivela nel continuo mutamento delle sue opinioni e delle sue emozioni: ogni stato d’animo che esprime forza ed energia si muta nel giro di poche righe, a volte addirittura all’interno della stessa frase, nel suo esatto opposto.
Nel procedere attraverso le vicende di Goljadkin noi lettori non abbiamo mai la certezza di cosa stia davvero accadendo: Goljadkin-junior esiste veramente? Lo fa pensare il fatto che tutti i personaggi interagiscono con lui. Oppure è solo un parto della mente di Goljadkin-senior, come possono far credere le risposte evasive del servitore Petruska o gli sguardi di pietà e di derisione che spesso gli lanciano colleghi e superiori? Questo, unito alla scelta di presentare un narratore esterno che ci propone il flusso dei pensieri Goljadkin-senior alternandola al resoconto delle sue azioni e dei suoi movimenti, che spesso si contraddicono tra loro producendo un effetto grottesco, rappresenta un altro elemento che incrementa nel lettore la sensazione di disorientamento.
Insomma, affrontare questo romanzo è stato per me tanto faticoso quanto per il protagonista tentare di liberarsi del suo sosia: una paranoia stressante che ti perseguita continuamente, anche lontano dalla lettura. E cosa si fa quando un libro ti fa provare le stesse emozioni, seppur di ansia e fastidio, e nella stessa intensità di quelle provate dal protagonista? Gli si danno cinque stelle come minimo.
Mancava poco alle otto del mattino allorché il consigliere titolare Jakòv Petrovic Goljadkin si svegliò da un lungo sonno, fece uno sbadiglio, si stiracchiò e aprì finalmente del tutto gli occhi. Per due minuti, però, rimase a giacere immobile nel suo letto come un uomo non completamente sicuro se sia sveglio o se ancora dorma e se tutto ciò che accade intorno a lui sia realtà o non piuttosto la continuazione di un fantastico sognare. Ma ben presto i sensi del signor Goljadkin ripresero ad accogliere, più chiare e più precise, le consuete, abituali impressioni.
(incipit)
Voto: 9.5/10
♥ Questo libro fa per voi se... volete approfondire il tema del doppio in letteratura con un romanzo difficile ma imprescindibile.