Editore: Mondolibri
Anno: 2000
Pagine: 132
Formato: Hardcover
Anno di pubblicazione: 1989
Genere: romanzo
Periodo di lettura: 05-07 ottobre 2014
Il cielo, che gravava minaccioso a pochi palmi dalle teste, sembrava una pancia d'asino rigonfia. Il vento, tiepido e appiccicoso, spazzava via alcune foglie morte e scuoteva con violenza i banani rachitici che decoravano la facciata del municipio. I pochi abitanti di El Idilio, e un gruppo di avventurieri arrivati dai dintorni, si erano riuniti sul molo e aspettavano il loro turno per sedersi sulla poltrona portatile del dottor Rubicundo Loachamìn, il dentista, che leniva i dolori dei suoi pazienti con una curiosa sorta di anestesia orale.Trama: Il vecchio Antonio José Bolivar vive ai margini della foresta amazzonica equadoriana. Antonio vi è approdato dopo molte disavventure che non gli hanno lasciato molto: i suoi tanti anni, la fotografia sbiadita di una donna che fu sua moglie, i ricordi di un'esperienza - finita male - di colono bianco e alcuni romanzi d'amore che legge e rilegge nella solitudine della sua capanna sulla riva del grande fiume. Ma nella sua mente, nel suo corpo e nel suo cuore è custodito un tesoro inesauribile, che gli viene dall'aver vissuto "dentro" la grande foresta, insieme agli indios shuar: una sapienza particolare, un accordo intimo con i ritmi e i segreti della natura che nessuno dei famelici gringos saprà mai capire.
Cosa ne penso: Chissà perché ho aspettato tanto a leggere questo romanzo. Credo di averlo in libreria da più di cinque anni e le sue uniche colpe sono probabilmente l'essere in edizione Mondolibri (inutile che stia a spiegarne il motivo: ogni lettore prima o poi ci si è scontrato) e, per di più, avere una copertina orribile che proprio non invoglia la lettura. Vabé, estetica a parte ciò che si nasconde dietro l'orribile cover è una bella storia, profonda e che mi ha provocato sentimenti di rabbia, dolore e impotenza.
I due protagonisti del romanzo, il vecchio e il tigrillo, sono anche le vittime dell'indifferenza e dell'arroganza dell'uomo (bianco ovviamente, quello presuntuoso che pensa che tutto il mondo stia ai suoi piedi e che sia fatto esclusivamente a suo uso e consumo) che prende, prende, prende senza mai dare. Entrambi mi hanno suscitato un fortissimo sentimento di pietà per le azioni che sono stati costretti a compiere a causa della superficialità e del disinteresse di un solo uomo; da una parte l'animale, intrappolato nella sua disperata ricerca della vendetta e dall'altra il vecchio, che viene costretto dalle circostanze a mettersi allo stesso livello dei 'gringos' che distruggono la foresta che tanto ama disattendendo (non per la prima volta) le leggi di chi gli ha insegnato a vivere e rispettare quella natura.
Naturalmente il romanzo è da intendersi come una metafora degli effetti provocati dallo sfruttamento indiscriminato del nostro pianeta; il tigrillo stesso è molto umanizzato e questo non fa che aumentare l'immedesimazione e la comprensione degli enormi danni che provoca la nostra indifferenza.
Questo libro mi ha portato: Ecuador, 1900
Sfide: sfida dei classici