[Lettura #28/2012] L'isola sotto il mare

La isla bajo del mar
di Isabel Allende
Hardcover, 378 pagine, Mondolibri 2009
Nei miei quarant’anni io, Zarité Sedella, ho avuto miglior fortuna di altre schiave. Vivrò a lungo e la mia vecchiaia sarà gioiosa, perché la mia stella – la mia z’étoile – brilla anche quando la notte è nuvolosa.incipit
Trama: 1770, Santo Domingo, ora Haiti. Tété ha nove anni quando il giovane francese Toulouse Valmorain la compra perché si occupi delle faccende di casa. Intorno, i campi di canna da zucchero, la calura sfibrante dell’isola, il lavoro degli schiavi. Tété impara presto com’è fatto quel mondo: la violenza dei padroni, l’ansia di libertà, i vincoli preziosi della solidarietà. Quando Valmorain si sposta nelle piantagioni della Louisiana, anche Tété deve seguirlo, ma ormai è cominciata la battaglia per la dignità, per il futuro, per l’affrancamento degli schiavi. È una battaglia lenta che si mescola al destarsi di amori e passioni, all’annodarsi di relazioni e alleanze, al muoversi febbrile dei personaggi più diversi – soldati e schiavi guerrieri, sacerdoti vudù e frati cattolici, matrone e cocottes, pirati e nobili decaduti, medici e oziosi bellimbusti. Contro il fondale animatissimo della Storia, Zarité Sedella, soprannominata Tété, spicca bella e coraggiosa, battagliera e consapevole, un’eroina modernissima che arriva da lontano a rammentarci la fede nella libertà e la dignità delle passioni.

Commento personale: Questo è il secondo romanzo che leggo di Isabel Allende ed è stato una conferma di quanto mi entusiasmi quest’autrice. La storia è ambientata a cavallo tra il 1700 e il 1800 prima ad Haiti, poi a New Orleans e narra la vita di Tété, una tra le migliaia di schiavi costretti a lavorare per i padroni bianchi in condizioni disumane.

Nonostante il tema doloroso, ho trovato che al romanzo mancasse un po’ di intensità, perché pur affrontando spesso la situazione degli schiavi e le pratiche a cui i padroni li sottoponevano, la Allende evita di addentrarsi troppo nelle condizioni di vita di questa povera gente e rimane sempre un po’ a distanza senza permetterci di avvicinarci troppo. Questo da una parte mi ha fatto tirare un sospiro di sollievo (è davvero difficile affrontare psicologicamente certi romanzi), ma dall’altra mi sono resa conto che lei avrebbe dovuto farlo, perché ne ha le capacità, come ha ampiamente dimostrato con “La casa degli spiriti”. La forza del romanzo, si basa soprattutto sui singoli personaggi, che sono talmente vividi da saltare letteralmente fuori dalla pagina, e credo che sia stato proprio questo a far si che mi piacesse così tanto nonostante il difetto di una certa “superficialità”, anche se è sicuramente un parola un po’ troppo forte.

Nella sua vita seppur dolorosa e faticosa, Tété ha la fortuna di incontrare molte persone buone, cosa che credo nella realtà non fosse così facile, e anche di capitare nelle mani di un padrone sempre dubbioso e con poco carattere (dal punto di vista dei bianchi, ovviamente) che forse la rispetta e la teme più di quanto non si renda conto.

Tra le figure migliori del romanzo ci sono la guaritrice Tante Rose, la cocotte Violette Boisier e Sancho, il cognato di Valmorain, che nonostante trascorra la sua vita nell’ozio più assoluto è l’unico componente della famiglia che si renda veramente utile a Tété.

Nel complesso il mio giudizio sul romanzo è decisamente positivo e mi spinge a voler continuare a leggere la bibliografia di questa fantastica autrice.

Un cartello appeso sulla facciata annunciava a grosse lettere in spagnolo: “Madame Adele, moda de Paris”. Bussò con il cuore che galoppava, udì un latrato, dei passi di corsa, si aprì la porta e vide sua figlia minore, un palmo più alta di quanto la ricordava. La bambina fece un grido e gli si buttò al collo, impazzita di gioia, e in pochi secondi il resto della famiglia lo stava circondando, mentre a lui si piegavano le ginocchia per la fatica e l’amore. Molte volte aveva temuto di non rivederli più.


Inizio lettura: 07 settembre 2012
Fine lettura: 11 settembre 2012

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